Oltre 180 persone provenienti da 5 continenti, 30 Paesi e diverse organizzazioni, movimenti e partiti si sono recate a Basilea dal 17 al 19 novembre per la conferenza “L’arte della libertà – Strategie di organizzazione e resistenza collettiva”, organizzata dall’Accademia della modernità democratica. Alla luce della crescente crisi della modernità capitalista e delle sue diverse manifestazioni, i principali temi di discussione hanno riguardato le vie d’uscita e le potenziali soluzioni. In particolare, i delegati e le delegate hanno discusso vari aspetti della resistenza al sistema capitalista e hanno scambiato le loro esperienze e strategie per riflettere insieme sul rafforzamento della loro pratica e della lotta comune.
La conferenza si è concentrata su varie questioni e sfide che le forze antisistemiche devono affrontare a livello internazionale nel XXI secolo: L’autodeterminazione e l’autonomia; la costruzione del contropotere e la trappola della democrazia liberale; l’autonomia dei giovani; la liberazione delle donne; l’ecologia e la democrazia radicale; la questione dell’organizzazione; l’importanza dell’internazionalismo. Con il suo impegno nei confronti della necessità dell’internazionalismo, questa conferenza è caduta al momento giusto. Nei loro interventi, i relatori e le relatrici hanno sottolineato la necessità di imparare dalle pratiche di resistenza e dalle esperienze di altri movimenti. Gli sviluppi politici degli ultimi mesi, tra cui le guerre in Palestina e in Kurdistan, dimostrano chiaramente che le reti internazionali tra i movimenti sono indispensabili per sfidare la modernità capitalista e l’imperialismo. In questo senso, la conferenza ha evidenziato l’importanza di sviluppare una nuova concezione della politica che contrasti la struttura patriarcale e dello Stato nazione della modernità capitalista. Ad esempio, la guida ideologica curda Abdullah Öcalan spiega nei suoi scritti di difesa che le forze antisistemiche non devono lasciare i loro compiti politici a coloro che distruggono la pluralità della politica e abusano della politica per il loro potere: “Poiché il potere cerca di conquistare e colonizzare ogni forma sociale e ogni individuo, la politica deve sforzarsi di guadagnare e liberare ogni forma e ogni individuo”. Nei vari contributi alla conferenza è emerso chiaramente che in diverse parti del mondo tali approcci sono già in atto e stanno portando avanti la costruzione di una democrazia radicale dal basso.
La conferenza non è stata solo caratterizzata da conferenze, tavole rotonde e workshop in cui si sono discusse le strategie rivoluzionarie, ma anche da scambi di solidarietà comunitaria e culturale. Le delegazioni hanno mangiato insieme e ballato sulle note delle musiche tradizionali. La sala della conferenza era adornata con i manifesti delle lotte di tutto il mondo. Questo ha permesso alle persone partecipanti di unirsi non solo nella lotta, ma anche nella gioia e nella reciproca scoperta delle culture e dei modi di vita altrui, perseguendo un vero e proprio internazionalismo olistico.
Prospettive di autodeterminazione (nazionale) e autonomia nel XXI secolo
Il primo panel verteva precisamente sulle prospettive per l’autodeterminazione nazionale e l’autonomia nel XXI secolo. Mahmut Şakar, uno degli avvocati di Abdullah Öcalan, ha aperto il dibattito con un discorso sull’importanza di ripensare l’autodeterminazione attraverso il paradigma di Öcalan. Ha infatti spiegato che la lotta per la liberazione del Kurdistan ha avuto inizio da una prospettiva decoloniale classica che perseguiva la liberazione nazionale attraverso il potere statale, prima di svilupparsi nell’attuale prospettiva di libertà e autonomia non statuale che rappresenta la posizione corrente del PKK. L’importanza fondamentale del PKK all’interno del Movimento di liberazione curdo risiede nel fatto che ha contribuito a trasformare sia la percezione della questione curda sia le sue possibili soluzioni. Quando negli anni ’70 Öcalan sostenne che il Kurdistan era una colonia internazionale, la gioventù delle classi povere, operaie, contadine e oppresse del Kurdistan si unì a lui e al PKK. A quel tempo, la lotta del socialismo reale, i movimenti giovanili e le lotte di liberazione nazionale erano i contesti da cui il PKK traeva ispirazione. Öcalan afferma: “Se non fosse stato per il socialismo reale, probabilmente un’organizzazione del tipo del PKK non avrebbe potuto formarsi”. Tuttavia, aggiunge che sebbene il PKK sia stato influenzato dal socialismo reale, “l’intera natura del PKK non può essere spiegata dal socialismo reale”. Questo si può spiegare con la mescolanza e l’eclettismo della combinazione tra l’ideologia dello Stato nazione e l’ideologia socialista democratica all’interno del partito. “Non avevamo la capacità di combattere il revisionismo del socialismo reale. Potevamo lottare con successo solo contro le primitive ideologie nazionaliste e scioviniste”. Öcalan descrive il problema principale nella formazione del PKK come “l’ambiguità riguardo all’ideologia dello Stato nazione”. L’obiettivo principale dei suoi scritti è il processo egemonico di 500 anni che egli descrive come Modernità capitalista e l’impatto che questo processo ha sui nostri pensieri e sulle nostre azioni. Nell’affermare che uno dei tre pilastri della modernità capitalista è lo Stato nazione, cerca di arrivare a un nuovo modello di nazione e a una soluzione. Contro la mentalità dello Stato nazione e la sua religione del nazionalismo, Öcalan propone il paradigma del confederalismo democratico come alternativa al modello dello Stato nazione. Quindi, le tesi di fondo del paradigma di Öcalan per la soluzione dei problemi nazionali e l’esercizio del diritto di autodeterminazione possono essere espresse in questo modo: “Il modello di nazione democratica è una strategia di decolonizzazione mediante la creazione di un individuo e di una società liberi”. Il modello di autonomia democratica assolve al compito di diventare una forza contro il colonialismo, creando un nuovo popolo e una nuova società in opposizione all’individuo e alla società creati dal colonialismo.
Questa prospettiva ha quindi aperto la discussione ad altre esperienze di liberazione nazionale. Innanzitutto quella del popolo dei Paesi Baschi, la cui storia è stata raccontata da due rappresentanti di Askapena che hanno parlato della lotta di liberazione in Euskal Herria. Obiettivo dell’intervento era inquadrare la nuova fase in cui si trovano i Paesi Baschi, segnata da eventi politici, economici e sociali. Dopo aver contestualizzato la lotta di resistenza all’interno del processo di formazione degli Stati nazione spagnolo e francese, che sono stati realizzati con strategie diverse – il primo basandosi sulla repressione militare, il secondo imponendo pratiche assimilazioniste – il relatore e la relatrice hanno messo in luce le diverse strategie adottate nel corso dei secoli per difendere la propria identità linguistica e culturale e la propria autonomia economica e politica. La resistenza alle invasioni spagnole e francesi ha preso la forma, a seconda delle fasi storiche, di diversi tipi di lotte: ribellioni contadine in difesa della proprietà collettiva delle terre comunali (matxinadak); la battaglia del sale in Bizkaia; la rivolta di Matalaz in Zuberoa; rivolte armate in difesa dei diritti consuetudinari e dell’autogoverno; disobbedienza di massa all’obbligo di leva negli eserciti spagnolo e francese; resistenza armata all’insurrezione fascista spagnola e resistenza contro i nazisti e i franchisti nel Nord dei Paesi Baschi; auto-organizzazione popolare per il recupero della lingua e della cultura basca. Con la nascita di ETA negli anni ’60, la liberazione nazionale si è fusa con la lotta per la liberazione sociale, intese come lotta per l’indipendenza e il socialismo. Le lotte degli ultimi decenni hanno attraversato fasi diverse, e in particolare negli ultimi dieci anni si è assistito a un drastico cambiamento di strategia con uno sbilanciamento sul piano politico-istituzionale, che ha generato molte spaccature nel movimento indipendentista e lo ha frammentato in numerose organizzazioni che seguono tattiche diverse.
Questa panoramica ha risuonato con quella illustrata dalla rappresentante di Endavant, che ha raccontato la storia della lotta per l’indipendenza del popolo catalano. Il conflitto tra il popolo catalano e lo Stato spagnolo, come la maggior parte dei conflitti nazionali, è un fenomeno della nostra contemporaneità, collocabile negli ultimi 300 anni di modernità in cui sono emerse le identità nazionali contemporanee. La relatrice ha spiegato le connessioni tra la resistenza di lunga durata contro la politica di assimilazione dello Stato spagnolo sotto Franco e la divisione post-franchista della Catalogna in tre comunità autonome a cui è costituzionalmente vietato di federarsi tra loro. In Catalogna, la crisi economica del 2008 ha provocato due risposte popolari. Da un lato il movimento 15M, che si è opposto all’austerità economica post-crisi, e dall’altro la rinascita del desiderio di indipendenza. Entrambe sono nate dalla frustrazione per l’impossibilità di trasformare il regime del ’78 che aveva preteso di democratizzare la Spagna. I casi di corruzione, il salvataggio delle banche, le privatizzazioni, la violazione dei diritti, il controllo sociale e il rifiuto del nuovo statuto di autonomia sono stati il terreno di coltura di queste frustrazioni. Ciononostante, la repressione statale, la mancanza di organizzazione popolare, un’impreparazione di fronte alla repressione e la volontà di neutralizzare gli elementi più radicali dei movimenti sono stati fattori che hanno bloccato la possibilità della trasformazione politica. La riflessione sulla strategia è ancora aperta, proprio come quella sulla stessa definizione di nazionalità catalana. Le identità nazionali non sono altro che l’espressione di un’identificazione collettiva prodotta dalla società in un determinato momento. Non esistono da sempre, non durano in eterno e non sono un fenomeno naturale. Il nazionalismo spagnolo, al contrario, considera sé stesso in questo modo. In quanto nazionalismo della nazione che opprime, ha cercato di naturalizzarsi e imporsi. In opposizione a ciò, il popolo catalano concepisce la differenza come catalanità: non ha un inizio, né una fine, né è scritta o codificata. È un elemento soggettivo, aperto a chiunque voglia essere catalano.
A conclusione del primo panel, una delegata del collettivo Walaboomuu ha parlato di Panafricanismo dei popoli e della lotta oromo. Quella oromo è una popolazione agro-pastorale stanziata nei confini dello Stato etiope, ma esistono anche gruppi di cultura e lingua oromo all’interno dello Stato del Kenya. Sono un popolo kushita, parte del gruppo linguistico afro-asiatico, che parlano l’afaan oromo. Da un punto di vista storico, la società oromo è organizzata secondo il sistema Gadaa, un sistema di democrazia sociale strutturato per fasce di età, e faceva parte dell’antica confederazione o regno kushita. Si dice che il sistema Gadaa abbia più di 3.500 anni. Il credo spirituale tradizionale oromo è il Waaqeefata, un sistema di fede monoteistico che collega la concezione di un unico creatore al mondo naturale attraverso il principio del Safuu, il codice morale e la filosofia oromo. Sotto il Gadaa, il popolo oromo era una nazione democratica confederale che, pur avendo un “capo” simbolico della società, noto come Abba Muddaa, viveva in territori distinti e governati democraticamente in tutta l’Oromia. In questo periodo, le persone oromo si identificavano in base al loro clan e in relazione alle loro società. L’identità nazionale oromo e la pratica di considerare le persone oromo come unità nazionale si sono sviluppate in reazione alla colonizzazione abissina. Sotto il Gadaa, il popolo Oromo era una nazione democratica confederale che, pur avendo un “capo” simbolico della società, noto come Abba Muddaa, viveva in territori distinti e governati democraticamente in tutta l’Oromia. In questo periodo, le persone Oromo si identificavano con il proprio clan e in relazione alle loro società. L’identità nazionale oromo e l’uso di identificare il popolo oromo come un’unità nazionale si sono sviluppati in reazione alla colonizzazione abissina. L’identità nazionale oromo ha guadagnato popolarità negli anni ’50, ’60 e ’70 attraverso i movimenti popolari e si è affermata con la formazione della prima organizzazione d’avanguardia, il Fronte di Liberazione Oromo (OLF). Tuttavia, a seguito della repressione, della criminalizzazione e della guerra, la prospettiva di risoluzione di questa realtà ha assunto la forma del panafricanismo dei popoli, con il ritorno alla confederazione democratica per realizzare il futuro del popolo oromo. Fino ad oggi, la popolazione oromo è stata esclusa dal dibattito panafricano tradizionale, che si fonda esclusivamente sull’identità dei popoli africani all’interno dei rispettivi Stati nazione. Il desiderio del popolo oromo di essere riconosciuto come nazione democratica piuttosto che come provincia del suo colonizzatore, l’Etiopia, e l’autocritica della sua precedente aspirazione reazionaria all’autodeterminazione attraverso un nuovo Stato nazione, potrebbero aprire la strada a uno sviluppo rivoluzionario del paradigma del confederalismo democratico nella regione.
Tra potere popolare e democrazia liberale – Le trappole e le necessità della lotta per la liberazione
Le varie prospettive su come sviluppare l’autodeterminazione delle nazioni e dei popoli non solo mostrano approcci diversi nei vari angoli del mondo, ma rivelano anche che le diverse lotte si confrontano con lo stesso pericolo di regredire in una prospettiva statalista o riformista che non può risolvere i problemi sociali. Per questo motivo, il secondo panel si proponeva di discutere le insidie e le necessità nella lotta per la liberazione, tenendo conto delle contraddizioni tra la costruzione del potere popolare e la partecipazione alla democrazia liberale.
Il primo intervento è stato quello di Potere al Popolo, un partito politico indipendente in Italia, che si è focalizzato sui propri progetti di mutuo soccorso e potere popolare. Il portavoce ha iniziato facendo una panoramica del contesto sociale e politico italiano, indicando nella famiglia la cellula sociale su cui si basa tutto il welfare e descrivendo il rapporto tra i movimenti sociali emergenti e le nuove ondate di populismo e fascismo nell’atmosfera politica del periodo 2009-2011. Il delegato ha poi spiegato l’attenzione di Potere al Popolo per il mutualismo come risposta alla frammentazione sociale, con l’obiettivo di dimostrare che è possibile organizzare diversamente i bisogni e la vita sociale. Al fine di “accumulare il potere sociale e farlo diventare potere politico” PaP ha iniziato nel 2015 ad aprire uno “spazio istituzionale”. Le elezioni del 2018 non hanno fatto entrare Potere al Popolo in Parlamento, facendo emergere un’autocritica a partire dall’impossibilità di immaginare un processo rivoluzionario come niente di diverso da un trasferimento di legittimità che favorisca il “socialismo dal basso”.
In seguito, una rappresentante della Red Nacional de Comuneras y Comuneros ha esposto il suo punto di vista sulla democrazia liberale, sul potere popolare e sulle modalità di funzionamento delle comuni di democrazia diretta così come vengono realizzate in Venezuela. La prospettiva è stata spiegata molto chiaramente: “le nostre comuni non nascono in un processo in cui tutti sono amici o si conoscono e poi hanno l’idea di creare qualcosa, bensì persone di ogni orientamento politico e provenienza si mettono insieme per realizzare un obiettivo perché è necessario. […] Siamo arrivati a un punto del nostro lavoro politico in cui abbiamo deciso di costruire una società comunitaria senza Stato”. Questa prospettiva di comunitarismo radicale, autonomo e dal basso non è priva di contraddizioni con il Partito Socialista Unito del Venezuela e più in generale con lo Stato, soprattutto ora che la sinistra è al potere nel Paese, che tuttavia cerca di imporre la sua direzione centralizzata a queste esperienze plurali, ad esempio istituendo un ministero specificamente dedicato per le comuni. La strada è quindi ancora aperta a soluzioni creative, con il supporto di reti internazionali e lo scambio di esperienze concrete.
Ha preso poi la parola la portavoce del Partito Comunista Sudanese, a partire dalla storia della colonizzazione e della schiavitù del popolo sudanese. Nella lotta del popolo sudanese contro il colonialismo britannico, i mezzi del movimento di liberazione nazionale sono stati diversi e hanno incluso la resistenza armata, le rivolte tribali, gli scioperi nelle città, nelle istituzioni militari ed educative, nonché l’attività letteraria, culturale e politica che ha portato alla creazione del Club dei Laureati e dei partiti politici. Tuttavia, l’istituzione dello Stato nazione è stata realizzata sul modello immaginato dal colonizzatore. La Rivoluzione d’Ottobre del 1964 è riuscita a rovesciare il governo che l’Occidente, insieme ad alcuni attori regionali, aveva cercato di rappezzare e ha testimoniato il desiderio sudanese di libertà, democrazia e potere civile. Nonostante la cospirazione dell’imperialismo e della reazione araba contro questo obiettivo, con la rivoluzione del dicembre 2019 il popolo sudanese ha alzato l’asticella dei suoi intenti non solo per quanto riguarda la democrazia, ma sintetizzando l’obiettivo strategico nello slogan della libertà, della pace e della giustizia. Il potere civile è la scelta del popolo e la Carta rivoluzionaria per il potere popolare afferma con forza la necessità di un cambiamento radicale e rivoluzionario per raggiungere gli obiettivi della rivoluzione, rivendicando per le masse l’autorità di ottenere la giustizia. Ciò che contraddistingue la Carta del Potere Popolare è che essa nasce da serie e lunghe discussioni a livello popolare con la partecipazione delle masse. Infatti, il documento pone l’accento sulla formazione dal basso come presupposto necessario per gettare le fondamenta di un processo politico fondato sulla partecipazione della base popolare, dal momento che queste comunità hanno un interesse concreto a raggiungere gli obiettivi della rivoluzione.
La conferenza ha ricevuto anche un videomessaggio da Abahlali baseMjondolo, un movimento socialista del Sudafrica. Questo movimento è stato fondato nel 2005 da abitanti degli insediamenti informali stanchi di essere esclusi dalle forze dell’attuale sistema. La gente di Durban, che viveva in varie baracche, si è riunita per discutere e trovare il modo di rispondere al sistema. A quel tempo, le azioni non erano formalizzate: l’unico modo in cui le loro voci potevano essere ascoltate era quello di scendere in strada attraverso proteste o marce. Il potere popolare per AbM non risiede solo nella quantità di persone che scendono in piazza, ma nell’inclusione di tutte le persone che, indipendentemente dall’età, dal genere, dallo status o dalla razza, vogliono trasformare progressivamente la società e migliorare le condizioni di vita. Il potere popolare per AbM precede persino l’introduzione della politica e consiste nel riconoscere le reciproche condizioni materiali al fine di individuare soluzioni mutuamente favorevoli. Abm si è dotata di un consiglio di sezione eletto dalle persone, di un consiglio provinciale eletto dalle persone delle sezioni e di un consiglio nazionale eletto dalle sezioni. Il movimento promuove un sistema dal basso verso l’alto, in cui è la base a prendere le decisioni e niente viene discusso prescindendo dalla base. In questo senso, il movimento è stato costruito dalla base. Per loro, se si vuole sviluppare il potere popolare e la democrazia, è necessario riconoscere il diritto di tutti i popoli e gruppi nazionali all’autodeterminazione. È necessario rispettare le lingue e le tradizioni progressiste di tutti i popoli africani e il loro diritto a uno sviluppo indipendente della propria cultura. La loro strategia proclama l’orgoglio di essere africani e il riconoscimento degli elementi progressisti del nazionalismo africano e del movimento di unità panafricana. Nell’ottica della rivoluzione democratica in Sudafrica, il popolo del Paese sta lottando per la causa della rivoluzione africana nel suo complesso, promuovendo il progresso mediante il nazionalismo e l’internazionalismo come pilastri. Questo intervento ha concluso la prima e intensa giornata della conferenza.
I diversi laboratori tematici
Nella mattinata del secondo giorno si sono svolti cinque seminari su argomenti diversi che miravano ad approfondire la comprensione di ciò che è necessario per un rinnovamento teorico e pratico dell’opposizione di sistema. Questi sono stati:
- Storia e Resistenza: I fiori nascosti della modernità democratica (tenuto da Iniziativa Resistenza e Storia).
- Liberazione delle donne e socialismo democratico nella prospettiva di Jineolojî (tenuto da Comitato Jineolojî Europa).
- Lotta di classe transnazionale nel XXI secolo (tenuto da Piattaforma transnazionale di sciopero sociale)
- Confederalismo democratico della gioventù: La gioventù nella lotta contro la modernità capitalista (tenuto da Youth Writing History)
- Democrazia locale e governo del più-che-umano (tenuto da Vikalp Sangam, India)
Le discussioni hanno spaziato dai problemi epistemologici nella ricerca storica e sociale del fiume democratico che attraversa il percorso dell’umanità, alla necessità di decolonizzare la nostra visione della verità e della storia e di superare dappertutto la mentalità patriarcale del dominio. Sono state discusse le pratiche quotidiane delle confederazioni di villaggi autogestiti e le lotte dei lavoratori indigeni. Si è discusso dell’origine dell’accumulazione del capitale e della correttezza di analizzare l’attuale fase delle relazioni internazionali come una “terza guerra mondiale”. Il workshop organizzato dalla gioventù ha presentato la propria prospettiva sulla necessità di un’avanguardia giovanile per i movimenti rivoluzionari che possano superare le forme patriarcali e gerontocratiche di oppressione e dominio. Si è inoltre avuta l’opportunità di discutere con una rappresentante di Vikalp Sangam (India) una prospettiva ecologica della relazione tra vita umana e non umana, concentrandosi su come queste relazioni debbano essere definite nello stesso modo democratico in cui vogliamo organizzare le nostre comunità. In questo modo, possiamo superare l’alienazione della natura che caratterizza la visione cosmologica dominante e che costituisce la base della nostra alienazione dalla natura nella modernità capitalista.
Costruire l’autonomia democratica nel Kurdistan settentrionale – Esperienze e riflessioni
Nel pomeriggio del secondo giorno si è tenuto un panel sulla costruzione dell’autonomia democratica nel Kurdistan settentrionale. I relatori e le relatrici curde hanno descritto in dettaglio come sono state create le comuni, i consigli, le accademie e le cooperative nel Kurdistan settentrionale e come è stato creato un sistema sociale alternativo. Oggi lo Stato ha distrutto gran parte del processo di costruzione di comuni, istituzioni autonome e cooperative nel Kurdistan settentrionale. In particolare, lo Stato ha utilizzato lo strumento del commissariamento. Da un lato, i rappresentanti eletti dall’HDP sono stati deposti e imprigionati, dall’altro sono stati sostituiti da funzionari statali.
Il concetto di socialismo: Verso un rinnovamento
L’ultima giornata della conferenza ha cercato di delineare le prospettive teoriche e organizzative per la resistenza e la rivoluzione nel XXI secolo. Seguendo lo slogan del Movimento delle donne libere del Kurdistan, “il XXI secolo sarà il secolo della rivoluzione delle donne”, il primo panel si è aperto con l’intervento di una compagna della rete Women Weaving the Future.
Affermano che “il superamento della società di classe, il superamento della società basata sulle guerre, il superamento del colonialismo e dell’imperialismo che ne sono all’origine, il superamento dell’arretratezza economico-culturale e dello sfruttamento diffuso sono tutti obiettivi della rivoluzione delle donne”. L’ultimo decennio è stato segnato da grandi movimenti di donne in tutto il mondo, dall’Argentina all’India, dal Kurdistan al Sudan, dallo sciopero transnazionale alla resistenza delle donne in Afghanistan e dalla diffusione mondiale della filosofia “Jin, Jiyan Azadi”. Tutti questi esempi di lotta ci danno la cifra del secolo che stiamo vivendo e delle prospettive che dobbiamo seguire, rafforzando i legami internazionalisti tra le organizzazioni di donne, lottando contro la mentalità del dominio, contro le gerarchie ma anche contro la frammentazione e l’isolamento. La prospettiva del confederalismo globale delle donne è l’orizzonte in cui inscrivere tutte le diverse forme di lotta e di organizzazione che possono trovare la loro unità in un arcobaleno di differenze. “Se ci sono carenze o errori, la concretezza stessa impone e porta le sue risposte. Quello che stiamo facendo qui non è solo porre il problema nei suoi contorni più ampi, ma anche cercare di avvicinarsi alle soluzioni e agli strumenti indispensabili”, ha detto la compagna, citando Öcalan. Secondo questa prospettiva, la liberazione delle donne è uno dei pilastri della nuova concezione del socialismo democratico del movimento di liberazione del Kurdistan.
L’Accademia della Modernità Democratica ha quindi delineato in modo più dettagliato la concezione che il movimento ha del socialismo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la guida della lotta di liberazione curda Abdullah Öcalan ha dichiarato che “insistere sul socialismo significa insistere sull’essere umani”. Una delle critiche più importanti al socialismo reale riguarda la sua incapacità di definire adeguatamente la modernità capitalista e di sviluppare una propria modernità in alternativa ad essa. Öcalan sostiene che l’analisi del capitalismo da parte del socialismo reale è troppo ristretta e unilaterale. Ha affermato che il socialismo reale ha analizzato la dimensione dello sfruttamento del capitalismo solo come logica del massimo profitto. Questo ha rivelato una dimensione importante della modernità capitalista. La modernità democratica, invece, è la modernità del socialismo democratico. Capitalismo e socialismo rimangono definizioni astratte e non possono concretizzarsi se non vengono considerati nel contesto della modernità. In altre parole, il contesto in cui l’ideologia democratico-socialista prende forma è la modernità democratica con le sue tre dimensioni di democrazia radicale, liberazione delle donne ed ecologia. Quindi, quando parliamo di modernità democratica, non usiamo questo termine al posto di socialismo democratico. Modernità democratica e socialismo democratico sono intrecciati. Il socialismo democratico prende vita nella modernità democratica e, grazie ad essa, si fa prassi. La modernità democratica consente la realizzazione del socialismo democratico. In questo quadro, se consideriamo la rivoluzione non come un evento spontaneo, ma come un cambio di mentalità e di condizioni materiali – portato avanti da una forza cosciente e organizzata che opera in tutte le circostanze – allora tutte le società, tutti i gruppi oppressi, in particolare le donne, i giovani e i lavoratori hanno bisogno di un’organizzazione rivoluzionaria.
La questione dell’organizzazione dal basso e dell’internazionalismo
Nell’ultimo panel “La questione dell’organizzazione dal basso e dell’internazionalismo” sono state condivise le esperienze di India, Colombia, Filippine e Kurdistan.
Il rappresentante del Fronte Nazionale Democratico delle Filippine (NDFP) ha ricordato che la resistenza armata è tuttora in corso, nonostante i 300 anni di colonizzazione e la brutale repressione dei movimenti rivoluzionari. Nondimeno, una percentuale considerevole di villaggi ha attualmente comitati organizzati, il cui scopo è costruire alleanze tra lavoratori e contadini. Nelle parole del delegato: “È una rivoluzione democratica principalmente perché cerca di portare a compimento la lotta dei contadini per la terra contro il feudalesimo nazionale e inoltre cerca di sostenere i diritti democratici delle grandi masse del popolo contro il fascismo”. Inoltre, ha enfatizzato la dimensione internazionale della lotta per la libertà nelle Filippine con le parole: “Anche fornire sostegno alle lotte di altri popoli contro l’imperialismo significa adempiere al nostro dovere internazionalista (…). Nell’attuale crisi dell’imperialismo e delle guerre di aggressione imperialiste, ritengo indispensabile che tra i rivoluzionari e le forze anti-imperialiste si formi una comprensione comune di chi sono i nostri nemici e chi sono i nostri amici. Questo servirà come base per un’azione unitaria contro l’imperialismo”.
Il Congreso de los Pueblos ha evidenziato come in Abya Yala vivano 5,7 milioni di indigeni, appartenenti a 800 popoli nativi, oltre alle popolazioni afro-discendenti. La politica dello Stato-nazione omologa le società e conduce una lotta permanente contro questa società multietnica e pluriculturale. Per questo è importante abbracciare e comprendere le cosmogonie delle comunità e le loro forme di autoproduzione, organizzazione e protezione. Il potere popolare si basa sull’idea che la classe operaia e i settori di base debbano organizzarsi e mobilitarsi per trasformare la società e costruire un sistema più giusto ed equo. Le loro pratiche mirano a costruire economie auto-organizzate (ad esempio cooperative), sovranità digitale, reti di comunicazione alternative (soprattutto radio), reti artistiche e culturali, educazione politica (università popolari). La strategia di autogoverno contadino del territorio prevede la costituzione di guardie non armate composte da delegati delle associazioni locali. Tra le altre cose, la relatrice ha parlato del concetto di “Poder popular”, che ha definito in questo modo: “Alla fine del secolo scorso, alcuni settori della sinistra sono passati dall’idea di prendere il potere a quella di costruire il potere popolare. Il potere popolare è un concetto centrale per la sinistra latinoamericana e si riferisce alla partecipazione attiva e diretta del popolo nel processo decisionale politico e sociale. Questo concetto è stato sviluppato principalmente in ambito marxista, essendo una tendenza ideologica che ha influenzato molti movimenti rivoluzionari in America Latina. Lungi dall’essere un’ideologia chiusa, è semmai un concetto aperto per i movimenti che intendono adottare una strategia rivoluzionaria”. È stata poi ribadita l’importanza del dialogo tra le diverse concezioni. Anche se gli approcci sono molteplici, è stato ribadito che dobbiamo concentrarci sui punti in comune per sviluppare una lotta internazionale per la libertà: “Il confederalismo democratico e il potere popolare non partono da un’analisi comune dello Stato, ma condividono pratiche comuni. Entrambi cercano di aprire uno spazio di autogoverno affinché la società si riappropri collettivamente della capacità di rispondere ai propri bisogni. Al di là delle differenze, il dialogo tra le pratiche può rafforzare la lotta globale verso la libertà”.
Le delegate del Sudafrica e dell’India hanno presentato il progetto Global Tapestry of Alternatives. In questo caso non si tratta di un’organizzazione, ma di un processo di cooperazione tra movimenti decentralizzati. Si propone di creare spazi di collaborazione, apprendimento e scambio, di dare visibilità alle alternative e di organizzare la solidarietà. È promosso da più di 75 reti, movimenti e organizzazioni. “Dobbiamo sia resistere all’attuale sistema capitalista, patriarcale e razzista, sia (ri)creare autentiche utopie e alternative trasformative”, ha osservato la rappresentante di GTA. La discussione ha poi approfondito il significato del termine “alternativa”. Da un lato, le alternative sono quelle che sfidano le strutture e le relazioni di oppressione e la non sostenibilità attualmente dominanti (come il patriarcato, il capitalismo, l’antropocentrismo, il razzismo e il sistema delle caste). E dall’altro lato, percorsi verso forme dirette e radicali di democrazia politica ed economica, autosufficienza locale, giustizia sociale ed equità, diversità culturale e di conoscenze e resilienza ecologica. Come base necessaria per l’internazionalismo, è stata sottolineata l’importanza dei valori e dell’etica delle alternative trasformative. L’obiettivo di questo processo deve essere quello di operare una sintesi tra le narrazioni delle alternative radicali, integrandosi ma anche sfidandosi costruttivamente e creando un pensiero pluriversale e una crescita organica nel profondo rispetto della diversità dei modi di conoscere, essere e fare. Le rappresentanti di GTA hanno spiegato in questo contesto che: “Nel mondo ci sono grandi possibilità e speranze. I popoli stanno resistendo e costruendo allo stesso tempo”.
Conclusioni
Per concludere, durante la conferenza abbiamo appreso (ancora una volta) che la lotta per la libertà ha una portata mondiale e si presenta con molti volti diversi: in Kurdistan significa costruire l’autonomia democratica e la nazione democratica; in altre parti del mondo emergono approcci diversi, come il concetto di “costruzione nazionale” nei Paesi Baschi, il “poder popular” in alcune regioni dell’America Latina o ancora altre strategie di democrazia radicale in tutto il mondo. Se riconosciamo il carattere globale, sistemico e strutturale della crisi, anche una via d’uscita richiede interventi globali, sistemici e strutturali. La conferenza “L’arte della libertà” è stata un passo avanti nella costruzione di relazioni e alleanze di solidarietà basate sulla libertà sociale, l’uguaglianza e la democrazia, al di là delle barriere locali e temporali. Assieme vogliamo realizzare i compiti politici, intellettuali e morali che sono necessari per portare avanti oggi la lotta per la libertà.
La conferenza ha costituito un importante spazio collettivo per identificare le sfide comuni, trovare risposte, porre domande e facilitare uno scambio intellettuale su pratiche e concetti tra i diversi movimenti. Il compito è ora quello di consolidare ed espandere questo spazio. Durante questi tre giorni, le voci delle lotte sociali per la libertà sono state amplificate ed è emerso chiaramente che a fronte della situazione globale, un mondo diverso non solo è possibile, ma è anche urgentemente necessario.
Come Accademia della Modernità Democratica, confidiamo di pubblicare i contributi della conferenza in un’antologia il prossimo anno.