Con la caduta del regime di Assad, l’8 dicembre 2024, il processo di ristrutturazione del Medio Oriente ha ripreso velocità. Gli attuali eventi e sviluppi in Siria non possono essere compresi separatamente dalle dinamiche della regione nel suo complesso, ma fanno parte di quella che il leader curdo Abdullah Öcalan ha definito la “Terza guerra mondiale”: “Se smontiamo il paradigma orientalista, vediamo che la fine della guerra fredda in Medio Oriente coincide con uno spostamento della guerra calda a uno stadio superiore. Il fatto che la Guerra del Golfo abbia avuto luogo nel 1991, un anno dopo la fine della Guerra Fredda, conferma questa tesi”1.
Per Öcalan, oggi la crisi globale della civiltà è particolarmente visibile nelle condizioni dominanti in Medio Oriente. Nelle sue memorie manoscritte alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), poi pubblicate in cinque volumi con il titolo “Manifesto per una civiltà democratica”, Öcalan ha espresso in modo esauriente il suo punto di vista sull’attuale situazione in Medio Oriente e sui probabili sviluppi, nonché sulla questione curda in mezzo a questo caos.
Nel quarto volume del suo Manifesto della civiltà democratica, intitolato “Civiltà democratica: Come uscire dalla crisi della civiltà in Medio Oriente”, Öcalan si concentra su un’analisi dettagliata del Medio Oriente e sottolinea il fallimento dello Stato-nazione come modello in grado di risolvere il problema: “Non si parlerà mai abbastanza di come l’imposizione dello Stato-nazione stia facendo a pezzi la cultura mediorientale come una lama di coltello. È questo coltello che ha provocato il più incurabile dei traumi che abbiamo subito (…) La ferita continua a sanguinare. Guardiamo al conflitto quotidiano tra indù e musulmani in India, ai massacri in Kashmir, nella regione uigura della Cina, in Afghanistan e in Pakistan, alla lotta sanguinosa dei ceceni e di altri in Russia, ai combattimenti in Israele/Palestina, in Libano e in tutti i paesi arabi, ai conflitti dei curdi con turchi, arabi e persiani, le lotte settarie in Iran, i massacri etnici nei Balcani, lo sterminio degli armeni, dei greci e dei siriaci in Anatolia – si può forse negare che tutti questi innumerevoli conflitti e guerre, ancora in corso e completamente privi di regole, siano il risultato della ricerca capitalistica dell’egemonia?“2
La validità delle tesi di Ocalan sulla regione è confermata dagli ultimi sviluppi in Siria e in Kurdistan. In questo contesto, l’Accademia della modernità democratica (ADM) pubblica un estratto del quinto volume del Manifesto della civiltà democratica, pubblicato in turco nel 2007 e che in futuro sarà reso disponibile in altre lingue. In quest’ultimo volume, Öcalan colloca la questione curda nel contesto storico del Medio Oriente e analizza la crisi del Medio Oriente e la prospettiva di soluzione della modernità democratica.
La dissoluzione dello Stato-nazione in Iraq, Afghanistan e Pakistan e il fallimento strutturale della modernità capitalista.
Estratto dal quinto volume del Manifesto della civilizzazione democratica di Ocalan.
L’attacco dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York, di cui si sospetta fortemente che si tratti di una cospirazione, è stato in realtà un modo per il sistema capitalista di dare inizio alla “Terza Guerra Mondiale”. L’Islam radicale, che dopo la dissoluzione della Russia sovietica negli anni ’90 era già stato dichiarato dalla NATO, e quindi dal sistema egemonico mondiale, come il nuovo nemico, veniva in realtà impiegato come una maschera ideologica. In sostanza, si trattava di assicurare la piena affermazione dell’egemonia capitalista lasciata incompiuta nei Paesi di cultura musulmana del Medio Oriente dopo la Prima Guerra Mondiale. In particolare, bisognava integrare opportunamente nel sistema i cosiddetti Stati canaglia e banditi, come l’Iran, l’Iraq, la Siria, la Libia, ecc. e, in generale, rafforzare l’egemonia mondiale statunitense. La “Terza Guerra Mondiale”, combattuta sotto l’egemonia statunitense, doveva riempire il vuoto egemonico creato dal crollo del sistema sovietico. Inoltre, bisognava impedire l’ascesa della Cina, un potenziale nuovo concorrente. La prima mossa in Afghanistan mirava ad agire con urgenza e a prendere l’iniziativa per impedire a Russia e Cina di riempire il vuoto egemonico in Asia centrale. Al Qaeda e i Talebani rappresentavano una copertura a questo scopo. Se si fosse voluto, si sarebbero potuti eliminare in ventiquattro ore. Ma per legittimare la guerra, la loro esistenza doveva rimanere costantemente all’ordine del giorno. Conformemente ai preparativi, il primo momento della guerra fu un successo. L’offensiva in Iraq raggiunse il suo obiettivo tanto rapidamente quanto era possibile grazie alla superiorità tecnologica. L’obiettivo era quello di rovesciare il regime di Saddam Hussein. L’obiettivo venne raggiunto, ma la vera difficoltà sorse nella sfera politica. Dopo il rovesciamento di un regime canaglia come quello iracheno (che può anche essere definito il governo canaglia del sistema), tutti i mali accumulati nel corso della storia delle civiltà hanno cominciato a fuoriuscire uno ad uno come se fosse stato aperto il vaso di Pandora.
L’Iraq non era un Paese qualsiasi. Era la regione in cui il sistema della civiltà centrale venne istituito per la prima volta e ne fu la culla per migliaia di anni. Era la regione in cui si concentravano tutte le etnie, le religioni e le sette. Dal punto di vista politico, richiedeva o un rigido regime dispotico o il più radicale sistema democratico. I regimi politici liberali occidentali non avevano alcuna possibilità di essere attuati. Tantomeno si poteva analizzare il problema attraverso la sociologia occidentale. In breve, non era una situazione culturale che i paradigmi ideologici e politici occidentali potessero superare facilmente. La situazione che si presentava era simile a quella vissuta dalla Gran Bretagna dopo la Prima Guerra Mondiale. La vittoria militare non aveva lo stesso effetto sull’arena politica. Al contrario, con il rovesciamento dei regimi dispotici tradizionali, i veri problemi sociali furono messi a nudo e non erano più problemi che la modernità capitalista poteva affrontare. Lo stesso ciclo si era ripetuto fin dai Sumeri. Ogni passo compiuto per trovare una soluzione non faceva che aggravare i problemi. Soprattutto, le culture della regione irachena hanno rivelato fino a che punto le pratiche dello Stato-nazione fossero fonte di fallimenti e di aggravamento dei problemi. La modernità occidentale non aveva altro strumento che lo Stato-nazione. Ciò che sarebbe seguito al suo crollo sarebbe stata una tipica situazione di caos e anarchia.
La situazione in Afghanistan non era diversa da quella in Iraq. Anche lì non c’era alcuna valida alternativa allo Stato-nazione. In effetti, la situazione emersa dopo la rottura del guscio dello Stato-nazione era simile in tutta la regione. La maschera dello Stato-nazione aveva permesso di scorgere la modernità solo in superficie. Quando questa facciata venne rimossa, la realtà che emerse fu quella dei problemi culturali accumulati nel corso di migliaia di anni. I regimi dispotici tradizionali avevano solo potuto reprimere le culture attraverso l’oppressione. Non era stato possibile distruggerle. La maschera della modernità era troppo superficiale. Al minimo movimento, si sarebbe rovesciata e sarebbe emerso il quadro reale. Mentre l’egemonia statunitense andava a Damietta per il riso, perdeva il bulgur a casa sua.33 Questo era esattamente il vicolo cieco in cui si trovavano le egemonie della modernità. Per lo statismo nazionale mediorientale, il processo dell’Iraq con l’esecuzione di Saddam Hussein è stato simile alla fine dei regimi monarchici con l’esecuzione di Luigi XVI nella Rivoluzione francese. Proprio come con l’esecuzione di Luigi XVI, i regimi monarchici non si sono mai ripresi e sono entrati nell’era dell’estinzione; con l’esecuzione di Saddam Hussein, i regimi fascisti degli Stati nazionali non si sarebbero mai ripresi e sarebbero entrati nell’era dell’estinzione.
Nonostante i migliori sforzi del sistema egemonico, la restaurazione dello Stato-nazione in Iraq e Afghanistan non sta funzionando, così come non ha funzionato la restaurazione dei regimi monarchici in Europa nel periodo 1815-1830; non sono solo l’Iraq e l’Afghanistan a sperimentare la disintegrazione dello Stato-nazione. Dallo Stato-nazione del Kirghizistan al confine con la Cina al Marocco sulla costa atlantica, dagli Stati-nazione dello Yemen e del Sudan agli Stati-nazione della Bosnia-Erzegovina e del Caucaso meridionale (il Nord è simile), tutti gli Stati-nazione stanno vivendo crisi simili. Il Pakistan non è diverso dall’Afghanistan. Libano, Yemen e Sudan sono in costante fermento. L’Egitto rischia il collasso del regime al minimo ammorbidimento democratico. L’Algeria non è ancora uscita completamente dalla guerra civile. La Turchia, autoproclamatasi isola di stabilità, è tenuta a galla solo dalle operazioni speciali di Gladio4. Non c’è un solo Paese del Medio Oriente immune da preoccupazioni. Gli Stati Uniti e i loro alleati sono ben lontani dal risolvere le crisi, anche se stanno concentrando tutte le loro truppe. Del resto, i problemi non possono essere risolti militarmente. Quelle che oggi bollano di terrorismo islamico sono spie create proprio da loro stessi. Non esiste una forza militare che possa combatterli. Forse l’Iran potrebbe farlo. Tuttavia, se anche l’Iran venisse attaccato, emergerebbero sempre più forze in conflitto tra loro.
Tutti gli indicatori relativi alla crisi mediorientale mostrano che è improbabile che gli Stati nazionali trovino una soluzione attraverso la restaurazione. Gli Stati Uniti avrebbero infatti voluto ristabilire lo Stato-nazione dopo gli anni Novanta, in modo simile alla restaurazione dei regimi monarchici del 1815-1830. Tuttavia, così come è fallita la restaurazione dei regimi monarchici, è fallita anche la restaurazione degli Stati nazionali, soprattutto in Medio Oriente. Inoltre, la recente profonda crisi dei Paesi dell’UE, che è la culla dello Stato nazionale, è anche una crisi dello Stato nazionale. Se l’UE vuole superare la crisi, deve intraprendere trasformazioni radicali nello Stato nazionale. La crisi si aggraverà finché gli Stati nazionali manterranno il loro attuale stato di sovranità. Per sessant’anni, l’Unione europea ha cercato di svilupparsi limitando la sovranità dello Stato nazionale. Dal momento che anche questi sforzi non sono stati sufficienti, la crisi dello Stato nazione si sta chiaramente manifestando a livello globale. Non si tratta più di stabilire se gli Stati nazionali, e quindi la modernità capitalista, stiano attraversando una crisi strutturale, ma di capire cosa succederà dopo la crisi. Con cosa e come verranno superati la crisi e il caos? Se confrontiamo la situazione con le conseguenze del crollo di Roma o dell’Impero Ottomano, sarà necessario discutere e trovare soluzioni su quali regimi, formazioni politiche e forme comuni di vita sociale si svilupperanno al posto degli Stati nazionali.
Abbiamo voluto sviluppare la discussione sulla modernità democratica per valutare la crisi dello Stato-nazione e le sue conseguenze. Molti eventi in Medio Oriente, che da tempo hanno superato la dimensione della tragedia e sono sfociati in grandi catastrofi, non sono più limitati ai popoli interessati (armeni, assiri, ellenici, ebrei, palestinesi, curdi, turchi, arabi, afghani, ecc.), ma hanno travolto l’intera vita sociale della regione. La modernità capitalista e i regimi degli Stati nazionali, che hanno causato queste grandi tragedie e catastrofi, non possono più offrire questo sistema e i suoi regimi come soluzione. Pertanto, è di grande importanza intensificare i dibattiti sulla modernità e valutare le possibilità della modernità democratica come via d’uscita dalla crisi e come soluzione.
L’equilibrio degli Stati-nazione in Medio Oriente e la questione curda
Così come gli attuali problemi fondamentali del Medio Oriente hanno le loro radici nella costruzione degli Stati-nazione, anche la questione curda risale a questa costruzione. La cartina politica del Medio Oriente, disegnata durante la Prima Guerra Mondiale, è stata progettata per creare problemi che sarebbero durati almeno un secolo. Ciò che il Trattato di Versailles fu per l’Europa, l’Accordo Sykes-Picot lo fu per il Medio Oriente. Il Trattato di Versailles, noto in Europa come “la pace che pose fine alla pace”, portò alla Seconda Guerra Mondiale. L’Accordo Sykes-Picot ha svolto lo stesso ruolo. Invece di realizzare la pace nell’Impero ottomano, trascinò il Medio Oriente in una profonda crisi e in un vicolo cieco. Tutti gli Stati nazionali che emersero alla fine della guerra erano organizzazioni in guerra al loro interno contro il proprio popolo e in guerra all’esterno tra di loro. La liquidazione della società tradizionale significò guerra contro i popoli. Le mappe disegnate dai governanti invitavano alla guerra tra Stati creati artificialmente.
La sola fondazione di Israele nella sua forma attuale ha superato cento anni di guerre. È impossibile prevedere quante altre guerre potrà provocare. Il piccolo Libano è costantemente in guerra. La Siria è sotto legge marziale permanente e in guerra con Israele. Lo Stato iracheno è già stato caratterizzato da guerre interne ed esterne per tutta la sua esistenza. La posizione dell’Iran non è diversa. La logica alla base della costruzione di tutti gli Stati nazionali mediorientali non si basa sulla soluzione dei problemi sociali esistenti, ma sulla moltiplicazione di questi problemi e sul mantenimento di questi Stati nazionali come regimi permanenti di guerra interna ed esterna. Lo scopo principale è la costituzione di Israele quale centro di potere egemonico. Se non comprendiamo il ruolo di Israele come polo egemonico, non saremo in grado di capire come si strutturino e si stabiliscano gli equilibri o gli squilibri tra gli Stati-nazione del Medio Oriente. La questione curda e la disintegrazione del Kurdistan sono la prova più evidente di questa intenzione.
L’Accordo di Sykes-Picot (una spartizione del Medio Oriente tra Gran Bretagna e Francia) è alla base del Trattato di Sèvres. Il Trattato di Sèvres prevedeva lo smembramento dell’Anatolia e dell’Alta Mesopotamia. La guerra d’indipendenza nazionale non abolì completamente il Trattato di Sèvres, come previsto, ma lo neutralizzò parzialmente. Il trattato fu in gran parte attuato. Una Repubblica minimale fu accettata come requisito di Sèvres. Anche la cessione di Mosul-Kirkuk ai britannici fu il risultato di Sèvres. Si tratta quindi della seconda grande frammentazione del Kurdistan in epoca moderna (la prima risale all’inizio della modernità, al Trattato di Qasr-e Shirin del 1639). Si tratta della causa principale della Questione curda. I due Stati nazionali minimali istituiti in Iraq e in Anatolia sono due atti di guerra che hanno smembrato i corpi del Kurdistan e del popolo curdo. Se non comprendiamo lo Stato-nazione in questo modo, non possiamo capire né la spartizione del Kurdistan né il fatto che la Questione curda sia durata così a lungo e rimanga tuttora senza soluzione. Dal 1920, da quando ne sono state gettate le fondamenta, il regime che lo Stato iracheno ha applicato esclusivamente nei confronti dei curdi è stato una guerra durata novant’anni. Gli eventi di oggi spiegano bene come questo Stato si sia trasformato anche in un regime di guerra contro la sua stessa società. Anche solo dal punto di vista dei curdi, è ormai una realtà che tutti ammettono, che lo Stato-nazione dei “turchi bianchi” ha applicato per ottantacinque anni un regime di guerra speciale che ha portato al genocidio. Le lotte all’interno del regime non sono mancate sin dall’inizio e fino ad oggi. I problemi inflitti ai curdi non sono un fenomeno spontaneo; sono pianificati e perpetuati in quanto elemento fondamentale dell’amministrazione del Medio Oriente, il cui scopo è quello di affogarlo nei problemi.
È necessario analizzare bene perché le potenze egemoniche della modernità capitalista hanno oppresso i curdi per quasi duecento anni, prima contro l’Iran e l’Impero Ottomano, e dopo la Prima Guerra Mondiale contro gli Stati nazionali di Turchia, Iran, Iraq e Siria. Non si tratta di una sola ragione, ma di molte. Il primo obiettivo è quello di approfondire le contraddizioni tra i curdi e i popoli arabi, turchi e iraniani con i quali hanno convissuto nel corso della storia e con cui hanno raggiunto una condizione più o meno legittima, di spingerli al disordine alterando lo status esistente e di mantenerli in uno stato di guerra permanente tra loro. Il secondo obiettivo è quello di guadagnare ampi territori agli Stati nazionali armeno, assiro ed ebraico, che intendono realizzare con la liquidazione dei curdi. In questo modo, non solo otterranno tre Stati nazionali che svolgano un ruolo di cuscinetto e di intermediazione e che rimangano assolutamente dipendenti da loro, ma faranno in modo che tutti loro, e in un certo senso il cuore stesso del Medio Oriente, rimangano dipendenti da loro, mantenendo i curdi in costante conflitto e in tensione con i loro vicini musulmani, cristiani ed ebrei. Naturalmente, le potenze egemoniche della modernità capitalista non rinunceranno a presentarsi di tanto in tanto come angeli salvatori di questo Kurdistan frammentato e di questo popolo curdo tormentato da problemi sconfinanti nel genocidio. Se guardiamo lo sviluppo degli eventi fino ad oggi, possiamo tranquillamente affermare che ciò che era stato pianificato con questi trattati di “pace che pone fine alla pace” è stato ampiamente realizzato.
A sostegno di queste tesi possiamo citare gli eventi del Kurdistan iracheno. Tutti i leader curdi che inizialmente hanno tentato di guidare il popolo curdo dell’attuale Kurdistan iracheno sono stati schiacciati prima dagli Ottomani e poi dalle autorità irachene. La stessa Gran Bretagna ricorse alla forza in questo senso. Mantenendo arabi e curdi in uno stato di conflitto permanente, legò entrambi a sé. Nel frattempo, con la promessa di una patria indipendente, gli Assiri furono inviati nei principati curdi, a Bedirxan Bey5. Gli Ottomani schiacciarono Bedirxan Bey e tutti furono legati a loro. Israele entrò in scena dopo essersi imposto come polo egemonico nel secondo dopoguerra. Israele, che si basò sugli ebrei curdi iracheni che si trovavano nell’area molto prima della sua fondazione, voleva progettare e stabilire un simile proto-Stato nazionale israeliano basato sui curdi (principalmente il KDP) come seconda formazione strategica, così come si era basato su uno Stato nazionale “turco bianco” (la dittatura del CHP) costruito a partire dagli ebrei turchi sabbatiani chiamati Dönmeh e dai burocrati turchi in Anatolia molto prima della sua fondazione. Naturalmente, non si può attribuire lo sviluppo delle formazioni politiche curde solo a calcoli egemonici esterni. È bene però sottolineare che l’equilibrio degli Stati-nazione in Medio Oriente è progettato e attuato dalle potenze egemoniche della modernità capitalista. La volontà determinante non è, come è stato sostenuto, quella di forze d’élite interne. La leadership della borghesia nazionale è un’assoluta menzogna. Il fatto che alcuni elementi borghesi radicali o piccolo-borghesi svolgano un ruolo di primo piano non fa di loro la forza determinante del sistema. Ad esempio, l’emergere di leader come Mustafa Kemal, Cemal Abdülnasır e Saddam Hussein non prova che siano stati loro a determinare il sistema dello Stato-nazione. Dopo tutto, il sistema è abile nel capovolgere i ruoli di queste personalità nella costruzione dello Stato-nazione. E li ha capovolti. Persino il ruolo di leader socialisti come Lenin e Stalin, che volevano costruire il sistema nazionale russo basato sul socialismo, è stato ribaltato settant’anni dopo. Lo stesso si può dire della Cina di Mao. Vogliamo sottolineare che finché il paradigma della modernità capitalista non sarà superato in tutte le sue dimensioni, esso e le sue forze egemoniche saranno la principale forza determinante.
Sebbene tardiva, l’istituzione di un nucleo dello Stato nazionale curdo può essere adeguatamente compresa solo nel contesto della modernità capitalista. Il Kurdistan e con esso il nucleo dello Stato nazionale curdo giocano un ruolo importante nei calcoli egemonici regionali di Israele. Così come lo Stato-nazione turco-anatolico ha svolto un ruolo di primo piano (proto-israeliano) nella nascita di Israele, lo Stato-nazione curdo svolge un ruolo molto importante nei calcoli egemonici di Israele nei confronti di Iran, Iraq, Siria e Turchia. Il fatto che le potenze che hanno fondato Israele abbiano appoggiato la nascita del KDP già nel 1945 e lo abbiano sostenuto de facto attraverso la Turchia a partire dagli anni Sessanta è legato ai loro calcoli strategici ed egemonici nella regione. La formazione dello Stato federale curdo, legata a Gladio dagli anni ’90, sulla base della liquidazione del PKK, non può essere considerata a prescindere da questi calcoli strategici egemonici. Il fatto che essi si siano scagliati contro il PKK in un movimento unitario lo spiega molto bene. Uno degli obiettivi più importanti della Seconda guerra del Golfo negli anni Duemila era l’istituzione permanente del nucleo dello Stato-nazione curdo in Iraq. Coloro che hanno preso e attuato questa decisione sono le stesse forze che hanno smembrato il Kurdistan nel secolo scorso e hanno tenuto i curdi sull’orlo del massacro. Tutto ciò che i calcoli del sistema richiedono viene fatto. Oggi, il nucleo dello Stato-nazione curdo è necessario al sistema capitalista quanto Israele. Il Medio Oriente ha un ruolo strategico indispensabile nel bilanciamento del potere e degli Stati nazionali. Per le esigenze di sicurezza e di petrolio del sistema in generale e per la sicurezza e l’egemonia di Israele in particolare, non si può rinunciare al nucleo dello Stato-nazione curdo e si farà tutto il necessario per rafforzarlo. Così, un altro importantissimo anello progettato negli anni Venti viene aggiunto al sistema. Lo Stato-nazione dei curdi bianchi è importante per il culmine del sistema come lo era lo Stato-nazione dei “turchi bianchi” per il suo inizio.
A questo proposito, per evitare qualsiasi fraintendimento, dobbiamo sottolineare i seguenti punti. Il semplice fatto che gli Stati nazionali siano costruiti secondo la logica del sistema non deve portare alla conclusione che essi non siano importanti per i popoli o che siano nemici assoluti. Al contrario, è necessario considerare gli Stati nazionali come istituzioni molto importanti e regolare le loro relazioni e contraddizioni attraverso il programma della società democratica popolare. I programmi della società democratica non cercano di distruggere gli Stati nazionali e di diventare essi stessi Stati. Essi esigono che gli Stati nazionali rispettino i loro progetti di società democratica sulla base di un compromesso costituzionale. Chiedono che i progetti e le pratiche della società democratica siano riconosciuti come un diritto costituzionale fondamentale, come condizione di base per la coesistenza pacifica. Si basano sul riconoscimento reciproco dell’esistenza dell’altro e sul fatto che questo sia una disposizione costituzionale.
È chiaro che il Kurdistan e i curdi hanno guadagnato il loro posto come realtà attiva e dinamica nell’equilibrio dello Stato-nazione e della società democratica nel Medio Oriente degli anni Duemila. L’alleanza anti-curda con Iran e Siria, guidata dalla Repubblica di Turchia, ha poche possibilità di successo perché va contro i calcoli del sistema capitalista. Lo sforzo dell’alleanza in questo senso risiede nel collaborazionismo di un sistema senza curdi e Kurdistan. Tuttavia, per Israele e gli Stati Uniti non è più possibile accettare questo approccio. Il collaborazionismo dell’imperialismo senza curdi e Kurdistan, applicato tra il 1920 e il 2000, non è più una politica praticabile. Esiste una forte possibilità che lo Stato nazionale curdo, già costruito in alleanza con l’Iraq, venga presto riconosciuto da Iran, Siria e Turchia. Tuttavia, la difficoltà sta nel fatto che in cambio di questo riconoscimento viene imposta la liquidazione del PKK e del KCK. Anche questa è una richiesta vana. D’ora in poi, sia la realtà della società democratica del KCK sia la realtà dello Stato-nazione dell’alleanza borghese curda cercheranno di determinare il destino del Kurdistan e dei curdi sulla base di un certo compromesso legale. Per la prima volta nella storia moderna del Medio Oriente, il potere della società democratica e il potere dello Stato nazionale svolgeranno insieme la loro funzione. Le guerre in Iraq, Afghanistan, Israele-Palestina e persino in Turchia, e i profondi vicoli ciechi che hanno causato, contengono importanti lezioni per i curdi. Per evitare di ripetere il sanguinoso passato della politica di uno Stato-nazione dai rigidi confini, essi prenderanno come base un sistema duale, cioè un sistema basato sulla riconciliazione tra il KCK, basato sulla modernità democratica, e lo Stato-nazione curdo iracheno, basato sulla modernità capitalista. In questo modo si saranno apprese le lezioni dello Stato-nazione del socialismo reale. I curdi e il Kurdistan non diventeranno un nuovo Israele né saranno come gli altri Stati-nazione. Saranno le forze trainanti e lo spazio di una nuova sintesi della modernità che supera quei problemi fondamentali che tutti devono affrontare.
Note a piè di pagina:
- Abdullah Öcalan, Manifesto della civiltà democratica (quarto volume), Civiltà democratica: Vie d’uscita dalla crisi della civiltà in Medio Oriente. [La traduzione italiana è in via di conclusione. NdT]. ↩︎
- Abdullah Öcalan, Manifesto della civiltà democratica (quarto volume), Civiltà democratica: Vie d’uscita dalla crisi della civiltà in Medio Oriente. [La traduzione italiana è in via di conclusione. NdT]. ↩︎
- L’ espressione “perdere la propria casa mentre si va a prendere il riso a Damietta” è usata nel senso di perdere ciò che si ha in mano come risultato di un’impresa ambiziosa. [L’espressione analoga in italiano è “chi troppo vuole, nulla stringe”] ↩︎
- Operazione Gladio era il nome in codice delle operazioni clandestine di resistenza armata organizzate dalla Western Union (WU), e successivamente dalla NATO e dalla CIA, in collaborazione con diverse agenzie di intelligence europee durante la Guerra Fredda. ↩︎
- Bedirxan Beg (1803-1869) fu l’ultimo Mîr curdo dell’Emirato di Botan. ↩︎