Processi di accumulazione originaria nella società sumera

L’emergere dell’autorità e della gerarchia, ancora prima della nascita della società classista, rappresenta uno dei punti di svolta più importanti della storia, dal quale, come risultato, mise le sue radici l’autorità patriarcale. L’istituzione dell’autorità patriarcale si trasformerà infine in autorità statale.

Una discussione circa l’origine del capitalismo non può non concentrarsi sul concetto di accumulazione originaria. Marx usa questa nozione nel primo volume de Il capitale, considerandola come fase precedente all’accumulazione capitalistica, come “una accumulazione che non è il risultato, ma il punto di partenza del modo di produzione capitalistico.” (1) L’originarietà di questo processo non consiste esclusivamente in una priorità storica, ossia nell’individuazione di uno specifico evento o periodo storico anteriore alla piena messa a regime del capitalismo, ma anche in una priorità di tipo logico, proprio in quanto condizione di possibilità dell’instaurazione dei rapporti capitalistici. Dunque, il processo di accumulazione originaria indica un processo storico che rivela delle condizioni strutturali necessarie all’esistenza della società capitalistica, le quali conservano il “passato come qualcosa che sopravvive nel presente.”(2)

È stato il femminismo materialista e foucaultiano a svelare l’arcano di questo processo. (3) In particolare il lavoro genealogico di Federici riguardo la transizione al capitalismo ha mostrato come esso si sia strutturato come una risposta dei signori feudali, dell’aristocrazia mercantile, dei vescovi e dei papi al duro conflitto sociale che, tra il 1350 e il 1500, stava facendo vacillare il loro potere. (4) Si è trattato di una vera e propria controrivoluzione che niente aveva a che vedere con un processo evolutivo in grado di liberare forze economiche maturate in seno al vecchio sistema: lo sviluppo del capitalismo non era l’unica risposta possibile alla crisi del potere feudale, tanto che in tutta Europa grandi movimenti sociali e ribelli si prospettavano una nuova società egualitaria e cooperativa.
La strategia messa in campo dai gruppi dominanti fu quella di cooptare i giovani lavoratori maschi in lotta mediante un’iniqua politica sessuale che trasformava il conflitto di classe in antagonismo nei confronti delle donne, facilitando così l’introduzione di una nuova divisione sessuale del lavoro e la svalutazione della posizione sociale femminile. La caccia alle streghe rappresentò il culmine della violenza di questo processo.

Si poté quindi costituire, tra il XVI e il XVII secolo, uno stato centralizzato in grado sia di controllare ogni aspetto della riproduzione, sia di imporre ai lavoratori europei l’esproprio dei loro mezzi di sussistenza e l’asservimento delle popolazioni indigene americane e africane nelle miniere e nelle piantagioni. Ma, come sottolinea esplicitamente Federici, “l’accumulazione originaria non è stata […] semplicemente un’accumulazione e concentrazione di forza-lavoro e capitale. È stata anche un’accumulazione di differenze e di divisioni nella classe lavoratrice, così che le gerarchie basate sul genere, come anche sulla “razza” e l’età, sono diventate un elemento costituivo del dominio di classe e della formazione del proletariato moderno.” (5) Emerge quindi come il processo di accumulazione originaria sia innanzitutto un dispositivo di governamentalità e disciplinamento del corpo sociale ribelle, (6) che, soprattutto attraverso la divisione di genere, produce le condizioni di una più agile estrazione del valore dalla società, mediante il tentativo, messo in atto da chiesa e stato, di trasformare le capacità dell’individuo in forza-lavoro di cui appropriarsi.

Questa archeologia della transizione al capitalismo deve essere collocata all’interno del quadro della filosofia di Öcalan per comprendere le radici logiche, storiche, materiali ed ideologiche di questo processo: tale origine delle divisioni del corpo sociale su cui si basa l’accumulazione originaria deve essere rintracciata nell’antica Mesopotamia, nella fase di istituzionalizzazione della gerarchia. L’accumulazione originaria inizia dunque con il cambio di mentalità legato allo sviluppo dell’agricoltura. Furono le donne a sviluppare in maniera decisiva una forma di società sedentaria nella quale ricoprivano un ruolo decisivo in quanto centro della cultura, del sapere, delle relazioni con l’ambiente e della riproduzione della comunità. Il cambio di mentalità rispetto a questa società naturale si ebbe quando l’“uomo forte”, la cui attività di cacciatore lo riduceva a un ruolo marginale nella società pur essendo in grado di imporsi con la sua forza, si alleò con il gruppo degli anziani, che non aveva alcun ruolo nella comunità, per sviluppare sistematicamente una forma di società rivolta contro le donne, educando e formando alcuni giovani uomini alla violenza e ad uccidere: da qui si svilupparono l’autorità e la gerarchia. (7) L’emergere dell’autorità e della gerarchia, ancora prima della nascita della società classista, rappresenta uno dei punti di svolta più importanti della storia, dal quale, come risultato, mise le sue radici l’autorità patriarcale. L’istituzione dell’autorità patriarcale si trasformerà infine in autorità statale. (8)

L’autorità maschile emerge in una società radicalmente comunitaria, incentrata sul principio della redistribuzione contro forme di accumulazione, considerate come profondamente contrarie alla morale e alla religione. (9) La società patriarcale ha inizialmente espresso forme di organizzazione gerarchica nella misura in cui questa autorità poteva essere utile grazie alla sua efficienza e generosità. Öcalan riconosce infatti che “prima che il dominio facesse parte delle relazioni umane lo sfruttamento della forza [da parte dell’uomo] non poteva essere sviluppato e impiegato. Il dominio ha invece a che fare con il possesso […]. La condizione del possedere è il nocciolo di tutti i sistemi di proprietà. Era iniziata una nuova epoca, nella quale comunità, donne, bambini e giovani, come pure i territori destinati alla caccia e alla raccolta, erano considerati tutti una proprietà […]. Nel frattempo lo sciamano era occupato ad ideare la mitologia di questa nuova era. A lui spettava il compito di far apparire questa novità come un magnifico progresso per le menti degli uomini dominati.” (10) Infatti, senza la convinzione della legittimità del potere dell’autorità, nessun gruppo sociale si fa dominare a lungo. Dunque, come poi avverrà anche nel XVI-XVII secolo, il potere dello stato si è sempre affermato, sin dal tardo Neolitico, grazie a un massiccio ricorso alla violenza e all’inganno, attraverso una controrivoluzione in risposta alla resistenza della società naturale all’emergere dell’autorità. (11)

Dunque, l’istituzionalizzazione della gerarchia, che si organizza poi nella forma dello stato, si articola sulla subordinazione patriarcale e sul processo di accentramento proprietario; fenomeni che abbiamo visto essere i costituenti dell’accumulazione originaria che consente la transizione al capitalismo. Emerge quindi in modo ancora più chiaro come il capitalismo non possa essere considerato esclusivamente come economia, ma come dominio da parte di “poteri possessivi, sfruttatori, coloniali e assimilazionisti” (12): come monopolio di potere e capitale.

Questo nuovo sistema si espresse compiutamente nella cultura Tardo Uruk (IV-III millennio a.C.) in Bassa Mesopotamia. In particolare, come mette in chiaro Federici, “il sistema delle piantagioni fu determinante per lo sviluppo del capitalismo non solo per l’immenso surplus di forza-lavoro che accumulò, ma perché delineò modelli di organizzazione del lavoro, di produzione destinata all’esportazione, di integrazione economica e divisione internazionale della forza-lavoro che sono diventati paradigmatici dei rapporti di classe capitalistici.” (13) In Uruk e nella Mesopotamia meridionale nel IV millennio a.C. si verificò un processo analogo, determinato dall’utilizzo di una nuova forma organizzativa per la produzione agricola, ossia il sistema dei campi lunghi con irrigazione a solco, che, grazie alle innovazioni tecniche necessarie, rese possibile l’accumulazione primitiva per la prima città-stato della storia. (14) Tale tecnologia agricola necessitava per l’impianto e la gestione, della presenza di un’agenzia centrale di coordinamento, diversamente da quanto succedeva nel sistema d’irrigazione a bacino che poteva essere gestito in maniera autonoma a livello famigliare o di villaggio. La rivoluzione urbana stimolata da questa innovazione agricola, dunque, implicava già l’esistenza di una forma di autorità in grado di coordinare e pianificare l’istallazione dei terreni attraverso la colonizzazione ex novo di aree abbastanza estese: l’istituzione materiale ed ideologica che si attestò come fulcro di questo sistema di gestione centralizzato fu il tempio.

La moltiplicazione della produzione agricola realizzatasi nel giro di pochi secoli grazie alla rivoluzione tecnologica non andò infatti ad alimentare i consumi privati della popolazione, ma portò invece a una trasformazione strutturale dei rapporti sociali in base alla quale il drenaggio delle eccedenze prodotte dalle comunità avveniva attraverso il prelievo di lavoro (corvée) da parte dell’agenzia templare che possedeva il monopolio del diritto di distribuzione dei prodotti conservati nel tempio, da cui venivano erogati i servizi alla comunità. Si trattava di un sistema redistributivo a doppia cerchia ampiamente squilibrato, poiché i flussi significativi andavano dalla cerchia esterna (i lavoratori e le lavoratrici) al magazzino centrale (tempio), e da questo alla cerchia dei dipendenti interni (amministratori e governatori). (15) Il tempio fu dunque l’istituzione che organizzò la trasformazione dal punto di vista infrastrutturale, ma non poté svolgere questa funzione senza una corrispondente legittimazione ideologica, che portò a scegliere il tempio tra varie agenzie centrali possibili. Il regime di governamentalità proposto dal tempio dovette sopperire infatti alla necessità di compensazione ideologica dei costi sociali della rivoluzione urbana: “la sottrazione di risorse ai produttori […] e il convogliamento verso utilizzi sociali richiede una forte dose di coercizione che può essere fisica […] o meglio ideologica. E il tempio era l’unica istituzione in grado di convincere i produttori a cedere sostanziose quote del loro lavoro a vantaggio della comunità e dei suoi dirigenti, sotto la specie delle loro ipostasi divine.” (16)

Circa il dispositivo ideologico inerente all’accumulazione primitiva, sulla scia degli studi di Wallerstein sul “sistema-mondo”, (17) Algaze illustra la connessione strutturale tra i meccanismi di accentramento proprietario da parte del tempio e le pratiche coloniali endogene ed endemiche al centralismo delle prime città-stato. (18) Per fornire legittimazione alle nuove gerarchie era necessario infatti produrre un apparato simbolico dell’autorità ben riconoscibile e la strategia utilizzata fu quella di ampliare i territori sotto l’influenza delle prime città-stato e di reperire grandi quantità di metallo, legno e pietre per arricchire i nuovi edifici pubblici monumentali. Sebbene in quest’epoca il rapporto di sfruttamento economico del centro sulla periferia non riguardava i beni di consumo primario, gestito in maniera autonoma dalle popolazioni indigene, tuttavia ciò intaccava pesantemente i modi di vivere delle popolazioni, costrette, per esempio, ad impiantare economie estrattiviste sui loro territori a solo vantaggio delle città del sud, come fu per i cantoni montani del nord, siti in zone minerarie. Tale sfruttamento non aveva ripercussioni solo sull’economia, ma anche sul modi di organizzazione della società: le società di territori periferici, non strutturate secondo il modello statale, assistettero a un’accelerazione dei processi di rafforzamento della gerarchia nella forma del chiefdom, figura che veniva individuata e sostenuta dai mercanti di Uruk e dai suoi governatori, i quali collaboravano con le élites indigene per instaurare sistemi produttivi utili e funzionali all’economia urbana meridionale. (19) I gruppi di potere locali, assimilando lo stile di vita delle comunità sud mesopotamiche, diventavano quindi interpreti di questo vasto sistema di dominio.

In conclusione, la prospettiva femminista materialista e genealogica ha fornito ulteriori argomentazioni per comprendere per quale motivo Öcalan faccia risalire le origini del capitalismo alla società sumera: non trattandosi esclusivamente di un sistema economico, ma di un modo di governamentalità, si deve comprendere che furono le trasformazioni occorse in Mesopotamia lungo il IV millennio a.C. e stabilizzatesi secondo i tratti della cultura Tardo-Uruk a far emergere quei fenomeni materiali ed ideologici, che permangono ancora oggi, come un passato che sopravvive nel presente, nei processi di accumulazione originaria, ossia l’aumento della violenza contro le donne, l’esproprio dei beni comuni e il colonialismo.


(1) Marx, K. (1967). Il Capitale. Libro primo. Editori Riuniti, Roma, p. 777.

(2) Federici, S. (2020). Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria. Mimesis, Milano, p. 18.

(3) Federici, S., Fortunati, L. (1984). Il grande Calibano: storia del corpo sociale ribelle nella prima fase del capitalismo. F. Angeli, Milano.

(4) Federici, S. (2020). Calibano e la strega. op. cit., p. 29.

(5) Ivi, p. 85.

(6) Ivi, pp.169 sgg.

(7) Öcalan, A. (2016). Contro lo stato, il potere e la violenza. Punto Rosso, Milano, pp. 37-40.

(8) Ivi, p. 33.

(9) Burkert, W. (2003). La creazione del sacro. Adelphi, Milano.

(10) Öcalan, A. (2016). Contro lo stato, il potere e la violenza. op. cit., p. 43

(11) L’epopea di Innana che deve essersi attesta nel IV millennio a.C. testimonia il tentativo fallito del principio patriarcale di soppiantare quello naturale e femminile poiché Innana riesce a recuperare i 104 me (Öcalan, A. (2016). Contro lo stato, il potere e la violenza. op. cit., p. 37).

(12) Öcalan, A. (2021). La civiltà capitalistica. L’era degli Dèi senza maschera e dei Re nudi. Manifesto della civiltà democratica Volume 2. Punto Rosso, Milano, p. 132.

(13) Federici, S. (2020). Calibano e la strega. op. cit., p. 15.

(14) Liverani, M. (1998). Uruk. La prima città. Laterza, Roma-Bari, pp. 19-26.

(15) Ivi, p. 91

(16) Ivi, pp. 34-35

(17) Wallerstein, I. (1974). The modern world-system I. Capitalist agriculture and the origins of the european world-economy in the sixteenth century. Academic Press, New York.

(18) Algaze, G., Brenties, B., Knapp, A. B., Kohl, P. L., Kotter, W. R., Lamberg-Karlovsky, C. C., Schwartz, G. M., Weiss, H., Wenke, R. J., Wright, R. P., & Zagarell, A. (1989). The Uruk Expansion: Cross-cultural Exchange in Early Mesopotamian Civilization [with Comments and Reply]. Current Anthropology, 30(5), 571–608.

(19) Liverani, M. (1998). Uruk. La prima città. op. cit., p. 101.