Di seguito pubblichiamo un’intervista a Sarah Raymundo dell’organizzazione BAYAN nelle Filippine sulla situazione politica del paese e sulle prospettive di resistenza
Puoi presentare te stessa e la tua organizzazione?
Mi chiamo Sarah Raymundo. Sono professoressa associata presso il Centro di Studi Internazionali dell’Università delle Filippine-Diliman. Sono anche membro del Comitato esecutivo nazionale di Bagong Alyansang Makabayan (BAYAN / Nuova Alleanza Patriottica). Il Bayan è una formazione multisettoriale che lotta contro il capitalismo burocratico, il feudalesimo e l’imperialismo per l’emancipazione nazionale e sociale. Si prefigge e si adopera per una società filippina pacifica, prospera e giusta, libera dal dominio imperialista. Il BAYAN è stato fondato nel maggio 1985, al culmine della rivolta contro il governo USA-Marcos. Ha riunito molte organizzazioni di massa su scala nazionale con più di un milione di membri, che rappresentano vari strati sociali e sfere della società, tutti dedicati alla lotta del popolo per la democrazia e la liberazione nazionale. Fondata sulla tenacia e sul potere della maggioranza delle classi oppresse, la spina dorsale della BAYAN è l’alleanza contadina-operaia. Molti dei membri della nostra organizzazione provengono da diversi gruppi, tra cui i giovani, le donne, le popolazioni indigene, i lavoratori immigrati, gli ecclesiastici, i lavoratori statali e i professionisti come scienziati e insegnanti.
Negli ultimi decenni, il popolo filippino è stato governato da governi autoritari. L’ex presidente Duterte era famoso per la sua brutale “guerra alla droga” contro i poveri, mentre l’attuale presidente è il figlio del dittatore Marcos. Come descriveresti lo Stato e il governo filippini in una prospettiva storica più ampia?
La brutale guerra alla droga di Duterte ha preso di mira la popolazione povera delle città e ha ucciso senza un giusto processo almeno 27.000 sospetti dal 2016 al 2022. Contrariamente a quanto si dice, la guerra alla droga non è cessata sotto il regime di Marcos Jr. Essa va ricondotta alle due politiche permanenti dello Stato fantoccio filippino: una politica di guerra ai poveri e una politica anti-sviluppo. A causa dell’accumulazione del profitto su scala mondiale e dell’oppressione del lavoro filippino, la società filippina rimane semi-feudale, nonostante l’aumento dei lavoratori dei servizi e dei lavoratori informali o l’impareggiabile crescita del semi-proletariato rispetto ad altri settori dagli anni ’80 ad oggi. Il periodo postbellico ha visto il continuo controllo dell’imperialismo occidentale guidato dagli Stati Uniti attraverso la subordinazione delle ex colonie a trattati commerciali ineguali, “aiuti esteri” e un “aggiustamento strutturale” attraverso il Fondo Monetario Internazionale-Banca Mondiale. In parole povere, il FMI-BM ha fatto in modo che le Filippine rimanessero una nuova colonia aperta al saccheggio imperialista. In concreto, ciò si traduce nella riproduzione sistematica della classe contadina come contadini senza terra che lavorano stagionalmente per imprese agroalimentari straniere per salari da schiavi. Lo fanno più o meno per quattro mesi all’anno. I mesi restanti sono chiamati “tiempo muerto” o stagione morta tra i coltivatori di canna da zucchero e dell’agrobusiness, che devono quindi trovare il modo di sfamare le loro famiglie come agricoltori non salariati. Questa è la condizione dei contadini senza terra nel Paese. In altre parole, la classe dei contadini senza terra è stata la manodopera di riserva e i lavoratori agricoli veri e propri per le imprese agro-alimentari straniere situate su domini ancestrali e/o terreni agricoli storicamente coltivati da contadini poveri. La fascia di contadini sfollati e senza terra popola la città e lavora a contratto nelle fabbriche locali e nelle zone di trasformazione delle esportazioni delle multinazionali, costituendo almeno il 15% dell’intera popolazione filippina. Una rigida politica di contrattualizzazione rende il lavoro precario e il posto di lavoro de-sindacalizzato. Altri che non riescono a trovare un lavoro si dedicano all’economia informale. Storicamente, e questo è un passato che continua, coloro che lasciano le campagne diventano lavoratori che guadagnano salari da schiavi nei centri urbani. Coloro che svolgono lavori di servizio per il PIL della nazione – i lavoratori filippini sfollati oltremare (OFW) e i lavoratori esternalizzati – sono i nuovi schiavi industriali, definiti eroi dal governo per aver tenuto a galla l’economia filippina. Nel frattempo, le vittime più povere della storia della mancanza di terra nelle Filippine, che non sono riuscite a farcela all’estero, nelle fabbriche o nei call center, trovano il modo di sopravvivere nelle comunità povere urbane, fino a quando non vengono uccise nella guerra della droga in corso o in quello che Neferti Tadiar analizza con forza come “potere di estinzione della vita” conferito allo Stato filippino. Questo dimostra la rigida dedizione dello Stato filippino al trasferimento di valore al Nord globale. Tanto rigida da poter esigere la morte di coloro che considera popolazione in eccesso o di quelle che Tadiar definisce “vite sacrificabili”: coloro che non contribuiscono in modo significativo all’estrazione di plusvalore per il centro imperialista. La guerra alla droga di Duterte, che persiste nonostante la cosiddetta transizione al regime di Marcos Jr, rivela come la soluzione neoliberista degli anni ’70 alla crisi del capitalismo non sia stata concepita principalmente come una strategia per la produzione. L’economia reale, dove avviene la produzione di beni, era già all’epoca in grave crisi. Bisogna comprendere che il neoliberismo è stato concepito come una strategia per il trasferimento di ricchezza all’élite economica dominante – l’1% – in un momento in cui i profitti della produzione sono in grave declino. In un simile contesto, la produzione può avvenire solo in concomitanza con una politica di guerra contro i popoli la cui soppressione e morte sono necessarie per continuare l’accumulazione del profitto su scala mondiale. Ho scritto un articolo sulla reintegrazione della dinastia politica dei Marcos alle massime cariche del potere, con la proclamazione di Ferdinand Marcos Jr. a Presidente della Repubblica il 25 maggio 2022. Nell’articolo mi soffermo sul ruolo dell’imperialismo statunitense nella creazione dell’oligarchia filippina, che storicamente ha servito gli interessi dell’imperialismo statunitense, ha portato avanti una repressione controinsurrezionale e ha garantito il trasferimento di ricchezza dalla periferia al centro imperialista. La vittoria elettorale di Marcos Jr. nel 2022 testimonia lo stato di putrefazione di un sistema politico dominato dagli oligarchi e l’ascesa della controinsurrezione statunitense nella politica filippina. Durante gli anni bui della dittatura di Marcos (1965-1986), la gente ha vissuto e molti sono morti per difendere i diritti e in assenza della Costituzione del 1987 che li proteggesse. La prospettiva di vivere una vita migliore sotto una presidenza Marcos Jr. è scarsa. Ma la storia della politica oligarchica e della controinsurrezione in questo Paese è un retaggio del colonialismo e di una modalità di imperialismo che è stata combattuta e sconfitta, anche se in modo incompleto, dalle lotte passate e presenti per la liberazione nazionale e la giustizia sociale in diverse parti del Sud globale. Ora più che mai, organizzarsi e stringere la lotta antimperialista e antifascista è la difesa più forte di cui abbiamo bisogno; ed è tutto ciò che abbiamo dopo aver subito una sconfitta da parte del figlio di un dittatore.
Come descriveresti la posizione delle Filippine nell’ordine mondiale capitalista?
Le Filippine si trovano alla periferia dell’ordine capitalista-imperialista globale. In quanto tali, fin dall’istituzione di un governo formale e di un commercio sponsorizzato dall’imperialismo statunitense, sono state una fonte di manodopera a basso costo, di materie prime, di natura sfruttabile, un mercato aperto per i prodotti in eccedenza dei Paesi del centro imperialista e una base militare per il militarismo globale imperialista statunitense. Il drenaggio di valore dalle Filippine al centro imperialista richiede una forma di governo asservita allo Stato imperialista statunitense per mantenere questa partnership iniqua. Gli Stati Uniti, in quanto Stato di controinsurrezione, applicano quindi le loro stesse misure fasciste al popolo filippino attraverso l’abbraccio dello Stato filippino alla controinsurrezione statunitense, che il governo infligge a contadini, lavoratori, indigeni, operatori dello sviluppo, attivisti, avvocati, giornalisti, studenti – praticamente a tutti i cittadini che sono critici nei confronti della violenza di Stato, della corruzione governativa e del saccheggio imperialista.
Nel concreto del caso delle Filippine, come analizzi i legami tra Stato, capitalismo e patriarcato?
Nelle Filippine, il drenaggio di valore dalla periferia al centro imperialista avviene quasi senza soluzione di continuità e nel modo più normalizzato attraverso una delle modalità di lavoro consentite da uno Stato anti-sviluppo: la politica di esportazione del lavoro del governo filippino e la conseguente femminilizzazione del lavoro emigrato. Lo Stato, in quanto mediatore tra il capitale globale e il lavoro filippino, ha messo in atto politiche per l’esportazione di corpi caldi, in particolare di manodopera filippina. In quanto nazione alla periferia dell’ordine capitalista e imperialista globale, le Filippine riproducono lavoratrici filippine qualificate che vengono addestrate secondo le modalità del patriarcato utilizzando le risorse locali – dalle cure parentali alla socializzazione, dall’istruzione alla formazione fino al momento dell’esportazione. La femminilizzazione del lavoro emigrato può essere possibile solo con il dispiegamento da parte dello Stato di valori sessisti come il sacrificio femminile, la sottomissione e il martirio di genere attraverso varie istituzioni come la famiglia, la chiesa, i mass media, l’economia e l’istruzione. L’esportazione di manodopera è stata la soluzione di ripiego e la politica di base dello Stato filippino fino ad oggi. I lavoratori filippini d’oltremare (OFW) sono la principale fonte di guadagno in dollari e di incremento del PIL. Un rapporto della Banca Mondiale del 2018 rivela che solo nel 2017 le Filippine hanno incassato 1,72 trilioni di Php (32,6 miliardi di dollari) dalle rimesse degli OFW (2018). L’amministrazione Aquino (1986-1992) è stata la prima a capitalizzare – e a riconoscere ufficialmente – l’importanza delle rimesse degli OFW per l’economia filippina, chiamandoli “nuovi eroi”. Questo slogan produce un valore non economico che cerca di suscitare il consenso e l’abbraccio popolare per la migrazione di manodopera stessa, cancellando i punti cruciali del fenomeno: 1) che si tratta di una vera e propria migrazione forzata; 2) che i lavoratori emigrati, soprattutto le donne, non sono protetti da abusi sessuali e altre forme di abuso fisico e dall’oppressione economica. La migrazione per motivi di lavoro viene spesso rappresentata come frutto di una scelta, in quanto i lavoratori emigranti decidono volontariamente di lasciare il Paese per trovare pascoli più verdi all’estero. L’etichetta di “nuovo eroe” valorizza il lavoro degli emigrati e sostituisce la necessità strutturale con un discorso di agency che si rifà erroneamente al concetto marxista di forza-lavoro, che il lavoratore vende “liberamente”. Inoltre, afferma l’idea neoliberista di un villaggio globale in cui i corpi sono liberi di circolare e di cogliere ogni opportunità di riprodursi. Eppure non c’è altro lavoro che dimostri concretamente l’asservimento del lavoratore al capitale come la migrazione del lavoro. Descrivendo le condizioni delle rispettive economie di Hong Kong e delle Filippine, la studiosa del lavoro migrante filippino Nicole Constable racconta che la storia del fenomenale aumento della popolazione di lavoratrici domestiche filippine in tutto il mondo può essere ricondotta alla politica di esportazione della manodopera avviata da Marcos negli anni Settanta. Gli anni ’60 e ’70, invece, sono stati segnati dall’immensa crescita dell’economia manifatturiera di Hong Kong. Questo ha spinto le donne cinesi che prima erano lavoratrici domestiche a lasciare i loro datori di lavoro e a entrare nel mondo produttivo. Ciò ha creato una domanda di manodopera domestica, alla quale le Filippine hanno risposto con entusiasmo, creando agenzie di reclutamento e agenzie di collocamento omologhe a Hong Kong. Questo particolare racconto della migrazione di manodopera mostra come il lavoro svalutato delle donne filippine in patria acquisti un valore di scambio quando viene inserito nel circuito del capitale globale. Dimostra inoltre che il valore di scambio delle lavoratrici domestiche filippine non è condizionato dalla libertà di vendere forza lavoro. Piuttosto, il valore di scambio è determinato dalla disuguaglianza di sviluppo tra le nazioni, che in questo momento condiziona la logica della femminilizzazione del lavoro migrante nell’ambito della globalizzazione imperialista. Da questo punto di vista, le lavoratrici domestiche filippine non sono libere di vendere la propria forza-lavoro, ma sono vendute come portatrici di tale forza-lavoro, il che le rende, come afferma la teorica Neferti Tadiar, “nuove schiave industriali”.
Che ruolo hanno le lotte antipatriarcali e femministe per il cambiamento sociale nelle Filippine? Quali sono i loro temi e le loro forme di organizzazione?
Le organizzazioni femminili nelle Filippine, sotto la bandiera della democrazia nazionale, sono in prima linea nell’articolare la situazione dei poveri delle campagne e delle città e nel lottare per i loro diritti e per ottenere l’accesso a case, posti di lavoro, servizi sanitari a prezzi accessibili, ecc. Come parte del movimento democratico nazionale per la giustizia sociale, le organizzazioni femminili collocano le questioni di genere e di classe all’interno di un contesto storico concreto (cioè il modo di produzione semi-feudale filippino come base sociale del capitalismo finanziario monopolistico). È necessario comprendere la specificità dell’esperienza delle donne in una società del Terzo Mondo. Ad esempio, GABRIELA, un’alleanza di organizzazioni femminili di base, mette in evidenza la situazione delle donne delle campagne e delle loro famiglie che soffrono a causa di un programma di militarizzazione intensificato dei territori rurali. A causa del ruolo delle donne nel mantenere intatta la famiglia, la violenza di Stato ha avuto un impatto più pesante su mogli e madri che hanno perso i loro mariti o figli insieme alle loro case. Allo stesso modo, le donne povere delle aree urbane soffrono quando le loro case vengono demolite con la violenza dalle autorità cittadine. Le donne, sia nelle aree rurali che in quelle urbane, non si limitano a gestire il bilancio familiare e la cura dei figli. Sono anche costrette a guadagnarsi da vivere, per lo più come lavoratrici a contratto nelle Zone di Produzione per l’Esportazione (EPZ) o come parte dell’economia informale o del crescente semiproletariato che si occupa di lavare i panni, fare la manicure, praticare il commercio ambulante, occuparsi di sartoria, tessere stuoie. Queste condizioni richiedono la continua mobilitazione e organizzazione delle donne contadine e operaie che sono nella posizione migliore per studiare sintetizzare e articolare l’impatto delle oppressioni interconnesse (di genere, di classe, nazionali) mentre organizzano le comunità in vari settori; e per elevare questa forma cruciale di coscienza, di politica e di organizzazione al livello dell’ampia lotta nazionale antimperialista e antifascista verso il socialismo.
Qual è la vostra prospettiva sulla Jineolojî e come può alimentare i movimenti delle donne nel vostro Paese?
Ci sono notevoli convergenze tra Jineolojî e il movimento delle donne nelle Filippine. Innanzitutto l’importanza che entrambe le lotte attribuiscono alla storia della lotta delle donne, saldamente ancorata alla lotta del popolo. Da questo riconoscimento segue una politica anticoloniale e antimperialista che sfida anche le strutture di conoscenza e le istituzioni patriarcali e androcentriche, nonché le soluzioni false e non inclusive offerte dal femminismo liberale occidentale. Il movimento delle donne nelle Filippine è profondamente radicato nella lotta rivoluzionaria delle donne contro il colonialismo e l’imperialismo. Dagli organi del potere politico rivoluzionario armato nelle campagne filippine ai picchetti dei lavoratori, alle proteste di strada in città e in altri luoghi in cui l’oppressione speciale delle donne viene sollevata come una questione urgente da risolvere all’interno della visione della liberazione nazionale e del socialismo, una scienza indispensabile della liberazione delle donne può essere sintetizzata e messa a disposizione di tutti i movimenti popolari nel mondo. Il movimento delle donne curde ha una dichiarata e chiara pretesa di forgiare un campo di scienza della lotta rivoluzionaria delle donne, riesaminando la storia delle donne, affermando l’importanza delle donne nella società e dimostrando che la stessa è di primaria importanza per lo sviluppo e la costruzione di organizzazioni internazionali non solo in Medio Oriente ma nel Sud globale. Questo approccio transnazionale alla decolonizzazione femminista, basato sulle lotte reali dei popoli con le voci amplificate delle donne emarginate ma combattive, è, come immaginato da jineolojî, un nuovo paradigma che va al di là di ciò che conosciamo del femminismo e delle sue varianti mainstream. In effetti, dobbiamo anche saper riflettere e trasformare la nostra pratica rivoluzionaria con concetti propri del proletariato, che arricchiranno le nostre battaglie politiche organizzate per l’uguaglianza di genere e la giustizia sociale in generale.
Più in generale, come valuti la situazione attuale delle forze democratiche, della tua organizzazione ma anche di altri movimenti e gruppi?
In generale, le forze democratiche nelle Filippine lavorano in lotte parallele. Abbiamo il movimento di massa urbano composto da forze patriottiche e democratiche di tutti i settori, guidato dall’alleanza contadina-operaia. Queste organizzazioni di massa, come ad esempio GABRIELA, Kilusang Mayo Uno (Movimento del Primo Maggio), Kilusang Magbubukid ng Pilipinas (Movimento contadino delle Filippine), Lega degli Studenti Filippini (LFS), Alleanza degli Insegnanti Impegnati (ACT) e altre organizzazioni all’interno della rete del BAYAN, hanno svolto un ruolo fondamentale nel suscitare, mobilitare e organizzare l’ampio movimento popolare che ha spodestato il dittatore Marcos, sostenuto dagli Stati Uniti, nel 1986 dopo vent’anni di potere. Questa è la spina dorsale dell’ampio movimento che ha spinto il Senato filippino a votare contro il rinnovo delle basi militari statunitensi nel settembre 1991. La partecipazione cruciale del movimento democratico nazionale alla costruzione di uno dei più grandi movimenti antimperialisti globali dalla fine degli anni ’90 ad oggi – la Lega Internazionale di Lotta dei Popoli (ILPS) – si è rivelata fruttuosa e benefica per il suo attuale sforzo di costruzione del fronte unito globale antifascista e antimperialista con i nostri compagni del movimento curdo. Le Filippine detengono il record della più lunga rivoluzione armata in Asia e nel mondo, guidata dal Partito Comunista delle Filippine. Questo Partito ha prodotto e sviluppato un Fronte Unito (Fronte Nazionale Democratico delle Filippine) di organizzazioni clandestine che rappresentano vari settori – operai, contadini, studenti, donne, popolazioni indigene, popolo Moro, artisti, insegnanti, ecclesiastici, ecc – e che è impegnato ad ampliare e approfondire il coinvolgimento e l’impegno delle forze patriottiche e democratiche nella lotta rivoluzionaria. Il PCF guida anche un esercito rivoluzionario, il Nuovo Esercito Popolare (NPA). L’NPA è impegnato nella costruzione di organi di potere politico nelle campagne, composti principalmente da contadini poveri e senza terra, a cui si aggiungono democratici e patrioti rivoluzionari e proletarizzati di diverse classi e settori. Questi organi di potere politico nelle campagne sono responsabili della rivoluzione agraria, della costruzione di basi di massa e della rivoluzione armata. Che si tratti di un attivista disarmato in una delle organizzazioni di massa urbane o di un quadro rivoluzionario armato con metodi e stili di lavoro diversi e vari gradi di sacrificio, la visione di un’autentica riforma agraria e dell’industrializzazione nazionale è un terreno comune, così come la richiesta che lo Stato filippino filo-imperialista affronti le radici del conflitto armato e lavori per una pace autentica e duratura. Gli incessanti attacchi fascisti e imperialisti ai movimenti organizzati in tutto il mondo richiedono un approfondimento e una riaffermazione dei principi che hanno permesso ai movimenti progressisti di costruire un ampio fronte unito contro il fascismo e l’imperialismo in momenti storici in cui gli stessi assalti al nostro popolo erano gravi e avevano già raggiunto un livello di pura distruzione. Oggi ci troviamo di fronte alle stesse condizioni, se non peggiori. Tuttavia, costruire organizzazioni operaie e contadine più forti è un compito impegnativo in condizioni di contrattualizzazione del lavoro, semi-proletarizzazione del lavoro, accaparramento delle terre, piano di industrializzazione nazionale nullo, militarizzazione delle campagne. La continua commercializzazione e mercificazione dell’istruzione valorizza e premia le modalità individualiste e carrieriste di approccio alla produzione di conoscenza. In questo contesto, organizzarsi per la libertà accademica e la libertà di associazione è visto come un peso o addirittura inutile, piuttosto che come un’opportunità di miglioramento personale e di associazione gioiosa con gli altri esseri umani. L’arte e la cultura mainstream e le pratiche che vi si svolgono contrastano il progetto di liberazione sociale, che richiede l’impegno in uno studio disciplinato, creativo e scientifico della società verso un cambiamento rivoluzionario, in contrapposizione a un’attenzione distratta e carente di tempo rivolta agli stessi obiettivi di avanzamento. Le tendenze al settarismo e alla cooptazione, in particolare la riluttanza di gruppi altrimenti progressisti a unirsi alle organizzazioni popolari e rivoluzionarie sulla base della costruzione di un ampio fronte unito globale contro l’imperialismo occidentale guidato dagli Stati Uniti, sono un ostacolo politico e organizzativo che potrebbe essere più facilmente superato con un rafforzamento del lavoro di solidarietà internazionale in tutte le sue varie forme.
Perché per voi è importante l’organizzazione internazionale e qual è la vostra prospettiva sul Movimento di Liberazione del Kurdistan in questo processo?
È importante raggiungere i popoli di altre nazioni perché le guerre coloniali e imperialiste non sono attacchi esclusivi al popolo filippino. Mentre la prima vittoriosa lotta armata anticoloniale in Asia contro la Spagna è stata condotta dai filippini che facevano parte della Rivoluzione Katipunan, la successiva occupazione e il continuo controllo dell’imperialismo statunitense sulle Filippine ci inducono a connetterci e a imparare dalle esperienze dei nostri compagni di diverse parti del mondo. Il movimento democratico nazionale verso il socialismo, anch’esso fondato durante l’apice della Guerra Fredda e l’ascesa delle lotte rivoluzionarie del Terzo Mondo, affronta le caratteristiche particolari del nostro Paese e della nostra lotta. La questione curda, così come è stata delineata da Abdullah Öcalan, afferma correttamente che le caratteristiche specifiche non sono solo questioni di nazionalità ed etnia, ma anche di democrazia e liberazione. Per aver ispirato il suo popolo delineando e lavorando verso un orizzonte rivoluzionario, Öcalan ha subito il carcere e l’isolamento. Si tratta di una grave ingiustizia nei confronti dei popoli di tutto il mondo che, nonostante siano stati avvertiti della fine del mondo, a causa della catastrofe climatica planetaria provocata dalla produzione imperialista, cercheranno comunque di porre fine allo sfruttamento e all’oppressione contro ogni previsione. È quindi utile per noi imparare dal movimento curdo e dai modi in cui una profonda organizzazione di base può arricchire significativamente la nostra comprensione della questione nazionale verso la liberazione nazionale. Questa è una soluzione che democratizzerà veramente l’aspetto nazionale della nostra lotta senza ricreare condizioni di dipendenza e monopoli capitalistici repressivi. Le Filippine detengono il primato di essere uno dei Paesi culturalmente più diversi al mondo e di ospitare una grande varietà di gruppi etnici con 172 lingue. Il rapporto di molti di questi gruppi etno-linguistici con la società tradizionale è stato uno dei principali problemi di governance, soprattutto da quando gli Stati Uniti hanno occupato le Filippine nel 1898. Il rapporto tra i gruppi etno-linguistici emarginati e l’élite locale al potere è stato ampiamente plasmato dall’imposizione della modernizzazione e dall’incorporazione forzata nell’economia mondiale. La visione di una governance veramente democratica da e per il popolo nel contesto della diversità etnica è un importante orizzonte di analisi e pratica sociale. È un orizzonte in cui potremmo scambiare esperienze e lezioni sulle pratiche democratiche e sui piani per il percorso di autodeterminazione e altri obiettivi correlati con il movimento curdo.
Qual è la vostra fonte di forza e speranza per continuare a lottare da qui in avanti?
Tra le tante fonti di forza e speranza delineate, è la memoria viva dei compagni caduti in combattimento a tenermi ancorata alla lotta dei popoli. I loro nomi non saranno dimenticati finché continueremo a scrivere e a vivere la storia rivoluzionaria del nostro popolo che lotta per un mondo migliore.