Girando per l’Europa, discutendo, proponendo, dialogando con un ampio ventaglio di forze democratiche, in tutte le loro sfumature e forme, abbiamo capito che la Peoples’ Platform Europe non era solo una proposta, ma una necessità. Il XXI secolo è iniziato con un enorme movimento contro la globalizzazione che ha dato vita al Global Social Forum, un evento impressionante tenutosi a Rio de Janeiro nel 2003, per affrontare le sfide del nuovo secolo. Da allora, gli Zapatisti hanno convocato un incontro con le organizzazioni di donne di tutto il mondo, sono state costruite alleanze socialdemocratiche e sono state avviate varie iniziative, soprattutto sotto forma di contro-vertici, per opporsi all’organizzazione dei poteri della modernità capitalista.
Ciononostante, si è registrato un vuoto generale, una ONG-izzazione e una mancanza di proposte per processi di ampio respiro. Parte di questo vuoto riflette anche la posizione marginale delle forze democratiche, concentrate sullo sviluppare rafforzamento locale e incapaci di andare oltre, pur comprendendo la necessità di discussioni internazionali e di azioni collettive.
Nella città imperiale di Vienna, tra monumenti in omaggio all’eternità del potere, durante la conferenza di tre giorni “Peoples’ Platform Europe 2025” si è assistito a una rottura della decennale tradizione europea di frammentazione dei movimenti sociali. Più di 800 partecipanti provenienti da 160 diversi gruppi, reti e organizzazioni si sono riuniti per affrontare l’emergere del fascismo e del militarismo nella culla continentale del capitalismo moderno. La Peoples’ Platform è stata il culmine di un processo di quasi un anno di incontri, discussioni, lotta intellettuale e connessione. Questo processo mirava a trovare modi per lavorare insieme, sviluppando le basi per i workshop e creando una base e delle prospettive per analizzare la situazione in cui viviamo come popoli in Europa. I workshop, a cui hanno partecipato da 40 a 100 delegati per ciascuno dei 9 temi trattati, hanno discusso le azioni da intraprendere per affrontare i pericoli e le opportunità che ci attendono. Ogni gruppo ha presentato il proprio punto di vista su un tema centrale della nostra epoca e, senza dubbio, il lavoro continuerà.Viviamo in un’epoca in cui, come ha affermato il relatore William I. Robinson, le tre crisi convergenti del capitalismo globale (ciclica, strutturale e sistemica) si stanno incontrando in un punto di caos interno. Il capitale finanziario è l’ultimo grido di un sistema che prometteva benessere e di essere una storia senza fine. Questo crollo ha aperto la strada a diversi esiti. Ora, quando il sistema mostra il suo volto più crudo, lo sfruttamento spietato, la guerra e il fascismo, il mondo sta lanciando l’allarme. Noi, in quanto forze democratiche, dovremmo essere in grado di valutare correttamente la situazione e agire sulla base di un’analisi più complessiva, storica e strutturale. La crisi a lungo termine della civiltà capitalista, in cui la divisione tra esseri umani e natura, uomini e donne, soggetto e oggetto sta raggiungendo uno stadio insostenibile.
L’Europa, come seme della modernità capitalista, ha una responsabilità particolare nei confronti del resto del mondo per le crisi che stiamo vivendo. È riuscita a mantenersi abbastanza indenne dagli effetti materiali delle crisi che ha contribuito a creare, ma ultimamente anche l’Europa è sull’orlo di crisi sociali interne e persino della minaccia di una guerra e di un fascismo rinato che sta investendo il continente.Questo (se non lo ha già fatto) dovrebbe porci di fronte alla domanda: noi, come persone che cercano la libertà e popoli in lotta, siamo pronti ad affrontare queste minacce? Chi, se non noi (riprendendo un vecchio slogan), può portare il peso di affrontare questi problemi? Siamo consapevoli che può essere spaventoso considerare l’esempio storico europeo dell’inizio del XX secolo. Se i movimenti socialisti, comunisti e socialdemocratici dell’epoca, con tutta la loro forza, non sono stati in grado di avere successo, abbiamo ragione ad essere preoccupati. Ma siamo anche d’accordo sul fatto che preoccuparsi non è sufficiente, dovremmo piuttosto assumerci la responsabilità di questo preciso momento storico, con i pericoli che dobbiamo considerare e le opportunità che possiamo cogliere.Intendiamo la Piattaforma dei Popoli come uno strumento per rispondere a queste domande, per ricostruire una forza internazionale, nella sua diversità, per creare unità d’azione, per spezzare decenni di frammentazione e settarismo. Vediamo chiaramente la necessità di sviluppare una cultura politica che ci permetta di rompere con la stessa formula che ha portato le forze democratiche in Europa alla marginalizzazione e all’impotenza.
Cosa abbiamo imparato
La discussione ideologica preparatoria, durata più di cinque mesi, ha portato alla stesura di una serie di documenti o prospettive teoriche per ciascun gruppo di lavoro. Durante la conferenza, questi documenti sono serviti come base di discussione e come punto di partenza per conoscerci e sviluppare queste prospettive. Abbiamo lavorato per comprendere le nostre differenze e trovare punti di accordo. In alcuni momenti ci siamo sentiti frustrati e il progetto di unità è sembrato forse troppo difficile da realizzare, ma alla fine siamo riusciti a identificare molti punti fondamentali su cui eravamo d’accordo. È emersa una prospettiva che descrive il tempo in cui viviamo e che ci ha permesso di aprire una strada per discutere come potremmo iniziare a lavorare insieme e costruire una struttura organizzativa. Permetteteci di evidenziare alcuni dei punti politici che sono stati sollevati.
Durante la piattaforma stessa, le donne sono state una fonte concreta di ispirazione con la loro energia e la loro volontà di superare la mentalità patriarcale di cui soffriamo in tanti ambiti della nostra lotta e di trovare nuovi modi di lavorare insieme. La questione della liberazione delle donne è stata anche un punto trasversale in molte delle discussioni. La piattaforma ci ha ricordato la necessità di costruire una rivoluzione guidata dai valori della mentalità delle donne. Soprattutto perché noi europei abbiamo l’idea di essere in qualche modo molto avanzati a livello globale nella lotta per la liberazione delle donne. Nonostante ciò, abbiamo visto anche nelle nostre organizzazioni che soffriamo di comportamenti e mentalità patriarcali profondamente radicati. In senso più ampio, il fatto che il femminicidio sia in aumento in Europa ci sfida a mettere in discussione la nostra immagine di società liberata e paritaria.
“Il socialismo può essere raggiunto attraverso la liberazione delle donne. Non si può essere socialisti senza la libertà delle donne. Non può esserci socialismo. Non si può puntare al socialismo senza democrazia. La mia prima prova di socialismo è sapere come parlare a una donna. Chi non sa parlare a una donna non può essere socialista”. -Abdullah Öcalan, messaggio dell’8 marzo 2025
Un tema centrale discusso tra le persone delegate è stata anche la necessità dell’autonomia in tutti gli aspetti della nostra lotta. Abbiamo convenuto che l’autonomia è un punto chiave per le nostre società, per le nostre organizzazioni e per le persone che le compongono. Da come sostentare la nostra vita a come rivendicare la sovranità alimentare, abbiamo affrontato l’autonomia in un senso più profondo e molto più ampio. Si trattava dell’importanza di sviluppare l’autonomia lontano dal sistema capitalista e dalla struttura statale e dalla mentalità che lo sostiene. Se non riusciamo a liberarci dall’istruzione statale, non possiamo sviluppare le nostre idee e i nostri modi di comportarci di cui abbiamo tanto bisogno per rompere con quel sistema. In definitiva, la nostra capacità di decidere della nostra vita, in senso collettivo.Vediamo incombere la minaccia del fascismo emergente in Europa, ma comprendiamo anche che non può essere affrontato con il classico antifascismo. Abbiamo discusso e analizzato la profonda connessione sistemica tra capitalismo e fascismo e abbiamo convenuto che il vero antifascismo deve toccare tutti gli ambiti della lotta e non solo la minaccia fisica del fascismo. Inizia con l’auto-educazione delle comunità, l’autosostentamento e la costruzione di economie comunitarie. Sarà guidato dalle donne, dalla gioventù e dalle persone migranti e dovrà concentrarsi sulla ricostruzione del tessuto sociale della società. L’antifascismo della nostra epoca deve essere un antifascismo sociale e il principale campo di lotta sarà la ricostruzione della società nei nostri quartieri e nei nostri paesi, affinché possano difendersi a partire dalla loro lotta interna ed essere pronti ad affrontare le minacce esterne che emergono.
Abbiamo imparato che il genocidio non è qualcosa che accade solo in momenti e luoghi specifici, ma è parte integrante del modo in cui funziona e pensa il sistema dello Stato-nazione. I genocidi che avvengono sono quindi profondamente connessi tra loro e con tutti gli attacchi alla società in generale. Non dovremmo cadere nella competizione su chi soffre di più o di meno a causa del genocidio.
Dal nostro punto di vista, condiviso da molti altri, solo attraverso la costruzione di strutture democratiche e confederali dei popoli del mondo saremo in grado di rispondere adeguatamente alla brutale realtà dello stato-nazione. Dobbiamo liberarci dalla mentalità coloniale competitiva che il sistema ci ha imposto e prendere le distanze dall’atto di gerarchizzare le lotte in una sorta di classifica di quale sia la più importante. Non è una questione di noi contro loro, questo è il modo di pensare capitalista. Sono state sollevate anche altre voci, che hanno identificato non solo il genocidio fisico, ma anche quello culturale, perpetrato all’interno della “fortezza Europa” contro i popoli e che sta raggiungendo un pericoloso stato di omogeneizzazione. Ci sono due paradigmi in conflitto, uno è il paradigma della modernità capitalista, del razzismo e del patriarcato, l’altro è il paradigma della modernità democratica, della nazione democratica e della vita. All’interno di questa lotta paradigmatica tutte le lotte sono collegate, dalla Palestina al Sapmi al Kurdistan.
“Mentre da un lato la scienza è stata mutilata dal positivismo e modellata per opporsi al mondo delle credenze e della morale, dall’altro lato, attraverso il liberalismo, ha trasformato un individualismo che distrugge la società in un dio nazionalista-statista capace di aumentare l’individualismo al punto da commettere genocidi”. – Öcalan in “Manifesto per la civiltà democratica, volume II – Civiltà capitalista”
Critiche
Nonostante una valutazione generale positiva della piattaforma, che può essere considerata un grande passo avanti in questo nuovo ciclo di lotta, vorremmo condividere alcune critiche, intese come spunti di riflessione e miglioramento per la nostra lotta collettiva futura.
Le aree che necessitano di sviluppare autonomia sono tante quante gli aspetti della vita stessa. Sviluppare l’autonomia significa liberare le nostre menti dalla colonizzazione di cui tutte e tutti soffriamo e costruire modi per sviluppare le nostre idee e le nostre menti al servizio della vita e dell’esistenza stessa.Tuttavia, a volte, abbiamo anche riscontrato una prospettiva ristretta su chi fosse identificato come “noi”. Questo “noi” aveva il difetto di una prospettiva individualistica piuttosto che sociale. Durante il lavoro preparatorio e il lavoro sulla piattaforma stessa, è emersa un’attitudine che rivelava una mentalità patriarcale, poiché alcuni di noi hanno adottato un approccio individuale e di accentramento di potere nel lavoro politico. In quei momenti, invece di cercare il consenso, abbiamo cercato l’accettazione delle nostre opinioni e dei nostri programmi. La nostra prospettiva è, senza dubbio, quella di creare spazi per condividere la prospettiva politica attraverso argomenti politici. È un errore interpretare la discussione in modo competitivo o esclusivo, secondo la regola capitalista del “o mio o tuo”. Abbiamo visto la mancanza di volontà di cercare l’unità espressa in modi provocatori di esprimere opinioni che hanno creato conflitti e divisioni piuttosto che forza nell’unità.
Mentre vediamo emergere atteggiamenti patriarcali e divisivi nel nostro lavoro politico, dobbiamo ricordare che la lotta di genere continua 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, e deve essere portata avanti in tutti i campi della vita, se vogliamo rendere il XXI secolo il secolo della rivoluzione delle donne. Questa piattaforma è un quadro di riferimento e una base per approfondire questa lotta e le nostre discussioni al riguardo. Offre anche l’opportunità di ampliare la nostra visione della lotta di genere, poiché abbiamo riscontrato una comprensione limitata di questa lotta tra alcuni partecipanti. Consideriamo la liberazione delle donne al centro della nostra lotta contro il sistema classista, contro il colonialismo, il militarismo e tutte le forme di oppressione. Non è una questione che riguarda solo le donne, ma tutte le persone che amano la libertà e, naturalmente, anche gli uomini dovrebbero impegnarsi attivamente in questa lotta. Il settarismo, un approccio politico radicato nella sinistra (radicale) europea, dovrebbe essere discusso approfonditamente tra le organizzazioni, legate a dibattiti storici e strutture rigide, spesso anche collegati ad approcci personali ed egocentrici, dove la sfiducia è diventata un punto di partenza, chiudendo talvolta le porte alla comprensione reciproca per costruire una lotta comune.
La solidarietà, soprattutto in Europa, deve essere rivalutata. Quanto possiamo offrire alle altre società in lotta quando la nostra società è così frammentata dall’individualismo da essere a malapena riconoscibile come società? La solidarietà è solo l’atto di inviare aiuti materiali ad altri popoli bisognosi? Nello spirito di quanto proposto nella piattaforma, dovremmo ricostruire la nostra lotta a partire dal locale, in modo da trovare un solido terreno ideologico e sociale per sostenere gli altri.
Si può sottolineare che in Europa abbiamo perso gran parte della nostra cultura politica. Nel senso che ci siamo persi in pratiche di accumulazione di potere, con conseguente divisione. Dobbiamo reimparare a cooperare e a discutere in modo costruttivo. Dobbiamo reimparare lo spirito del dare e dell’avere, anche in termini di opinioni e pensieri. Se non siamo aperti a essere convinti, perché perdere tempo a discutere? Dovremmo cercare il dibattito o la conversazione nella nostra vita politica? È necessario votare su tutto se sviluppiamo una vera volontà e capacità di comprendere i nostri compagni e compagne? Il consenso non è solo un altro modello decisionale, è un atteggiamento verso l’essere compagni e la capacità di cercare un accordo anche quando non siamo pienamente convinti, al fine di coltivare un processo politico in grado di progredire.
“In primo luogo, la politica deve iniziare come forma di resistenza al potere. Poiché il potere cerca di conquistare e colonizzare ogni individuo e ogni unità sociale, la politica deve cercare di conquistare e liberare ogni individuo e ogni unità sociale su cui si fonda”. – Öcalan in ”Manifesto per una civiltà democratica, volume III – Sociologia della libertà”
Senza voler generalizzare, un approccio alla politica basato sulla propria emotività piuttosto che sulla ricerca di un equilibrio tra emozioni e politica, legato a quanto detto in precedenza (individualismo e mancanza di cultura politica), ha diminuito il potenziale politico delle discussioni. Come proposta, è importante comprendere il momento e il ritmo delle discussioni, essere in grado di riflettere due volte prima di parlare: è la mia opinione personale? Chi rappresento quando parlo? E cosa sto apportando alla discussione generale?
Siamo consapevoli che in molti casi è difficile parlare da una prospettiva organizzata; quindi, la riflessione che compagne e compagni dovrebbero portare a casa è: quanto saremo più organizzati nelle discussioni future?
Essere un soggetto politico non significa solo esprimere opinioni, anche se questa è una parte importante. Bisogna anche essere disposti a lavorare, a partecipare alle riunioni, alle discussioni e ai processi e a contribuire a plasmare il risultato di quel processo. Stare in disparte ed esprimere opinioni sui risultati di un processo a cui non si è partecipato avrà sempre meno impatto che partecipare a quel processo e condividere il peso di quella lotta.
Per diventare un soggetto politico è necessaria una buona dose di lavoro, energia e tempo, e trarremo beneficio dall’imparare a dedicare più di noi stessi al lavoro politico e meno al mantenimento di uno stile di vita liberale. Il semplice fatto di essere presenti e partecipare a un processo politico arricchirà quel processo con i nostri colori e le nostre idee ed è il primo passo verso la costruzione di una società democratica.
Abbiamo davanti a noi una lotta lunga e difficile contro l’individualismo e il liberalismo nelle nostre personalità. In Europa più che in qualsiasi altro luogo, siamo stati colpiti dagli sforzi del sistema capitalista per frammentare le nostre società e creare persone che si mettono in contrapposizione con ciò che le circonda. Questo ha profonde ripercussioni sul nostro lavoro politico. Mettiamo le nostre opinioni davanti a quelle degli altri e insistiamo su di esse al punto da creare divisioni senza tener conto del danno che stiamo causando alla comunità. È importante cercare di avere ragione nei nostri pensieri e nelle nostre opinioni, ma è anche importante costruire i nostri rapporti di compagnerismo con le altre persone. A volte avere ragione non è l’unico valore da difendere ed è importante cercare l’equilibrio in questo atto. Come società sotto una forte influenza liberale, spesso dimentichiamo questo equilibrio a favore dell’io in quell’equilibrio.
Ci sono alcune forme dell’arte della politica che forse abbiamo dimenticato e che potrebbero sembrare ovvie, ma staremo tutti meglio se riuscissimo a farle rivivere e a rafforzarle nella nostra vita politica. Ad esempio, ascoltare e cercare di capire ciò che viene realmente detto invece di applicare solo i nostri schemi mentali a ciò che qualcuno sta cercando di dirci. La capacità di offrire critiche costruttive non consiste solo nell’esprimere critiche. Deve anche portare con sé la volontà e l’apertura mentale di ammettere che forse siamo noi ad avere torto o che forse dovremmo concentrarci sull’autocritica prima di criticare gli altri. Capiamo anche che le critiche, quando vengono espresse, sono anche una riflessione da fare interiormente; quindi, possiamo riflettere sul fatto che a volte ciò che viene espresso come critica è il nostro io interiore che cerca di dirci qualcosa su noi stessi. La riflessione interiore ed esteriore è un percorso dinamico, emotivo e complicato che richiede molto impegno.
Prossimi passi
Proprio come le internazionali socialiste del XIX e XX secolo, i Global Social Forum del XXI secolo e tutte le altre conferenze internazionaliste, questa piattaforma sarà grande e importante solo nella misura in cui riuscirà a costruire risultati duraturi e un’organizzazione solida. Sarà giudicata dalla storia in base alla trasformazione politica e sistemica che riuscirà a promuovere. Amiamo incontrare i nostri amici e amiche e le persone con cui condividiamo affinità, poiché le opportunità per farlo sono molto limitate, ma la nostra motivazione è ciò che possiamo costruire e organizzare insieme. Il nostro obiettivo è riparare il tessuto sociale delle società del mondo e questo richiede di ricollegare le prospettive che abbiamo generato al livello locale, dove la lotta quotidiana è in corso.
L’obiettivo non è quello di avere una piattaforma, l’obiettivo è quello di rafforzare i movimenti sociali, le organizzazioni della sinistra radicale in Europa e oltre. Abdullah Öcalan lo ha espresso in molti modi e in molte occasioni e ha sempre sottolineato l’importanza centrale dell’organizzazione, della costruzione di un’organizzazione che ci dia una piattaforma su cui agire. Siamo forti solo quanto siamo organizzati ed è questo l’obiettivo che ci prefiggiamo con la Peoples Platform.
La Piattaforma dei Popoli ha aperto uno spazio di discussione in cui possiamo ripensare e rivalutare le nostre pratiche politiche acquisite. Questa piattaforma deve ora prendere coscienza della propria esistenza e trasformarsi in qualcosa di più forte e più grande. Si è creata l’opportunità per i popoli che vivono in Europa di unirsi in un fronte e sfidare realmente il sistema capitalista. Affinché ciò avvenga, la piattaforma deve continuare a tessere relazioni con più organizzazioni, su più temi e in nuove forme. Costruire insieme una strategia e inventare nuove tattiche per vincere contro il sistema attraverso l’unità nella diversità. Crediamo che il prossimo passo importante di questa piattaforma debba essere locale. Tutte le organizzazioni devono esplorare insieme ad altre organizzazioni locali come costruire la Piattaforma dei Popoli nelle proprie città, nei propri quartieri e nei propri paesi.
Conclusione
In tutta onestà, la chiusura di questa piattaforma è stata bellissima, ma abbiamo anche provato un po’ di apprensione. Non è la prima conferenza internazionale a cui partecipiamo come movimento e, ad esempio, durante la conferenza Women Weaving Future a Berlino nel 2022 e la conferenza Youth Writing History a Parigi nel 2023, l’ultima parte di questi eventi è stata un’esplosione di energia, danza e festa. Questa volta non abbiamo provato la stessa intensità che abbiamo provato in precedenza. Ma crediamo anche che ci sia una buona ragione per questo. Come organizzazioni europee, abbiamo sofferto a lungo sotto il flagello della divisione e l’idea di lavorare insieme a volte sembrava quasi un sogno lontano. Ma finalmente abbiamo visto che siamo in grado di trasformare questa situazione in una prospettiva di cooperazione e forza nell’unità. Naturalmente stiamo risolvendo questioni di lunga data, è normale provare qualche dubbio. Ma con questo in mente, siamo sicuri che la prossima volta ci riuniremo con la certezza di avere davvero la capacità di incontrarci, discutere e costruire insieme, e allora forse la celebrazione verrà da un luogo di maggiore coraggio e gioia. Siamo più vicini che mai alla costruzione di un’organizzazione continentale in grado di sfidare la modernità capitalista. E come ha detto qualcuno tra il pubblico l’ultimo giorno, forse dovremmo considerare di cambiare il nome da “Piattaforma dei Popoli Europea” a semplicemente “Piattaforma dei Popoli”, perché le prossime piattaforme possono e devono proiettarsi ben oltre l’Europa.
Lunga vita al confederalismo democratico delle donne, della gioventù e dei popoli del mondo!