Forze democratiche nell’Italia del Basso Medioevo

– Per una rilettura dei movimenti evangelici nel paradigma della Modernità Democratica

Alcuni dei movimenti evangelici1 di cui ci occuperemo in questo testo sono stati accusati di “eresia” nel periodo a cui ci riferiamo; l’uso storico di tale termine fa in generale luce sul pensiero dei loro nemici, più che su quello dei movimenti stessi. Eppure, soffermarsi un istante su questa parola può aiutare a comprendere alcuni aspetti effettivamente centrali nelle vicende della cristianità del basso medioevo. “Eresia” deriva dal sostantivo greco hairesis, traducibile come “setta” o “scuola”, che a sua volta deriva dal verbo haireo, nella sua accezione di “scegliere”. Ciò che mettono in luce le accuse di eresia dispensate dalla Chiesa cattolica fu la necessità di quest’ultima di bandire il concetto stesso di “scelta” di fronte alla dottrina, per consolidare la sua ortodossia e mettersi al riparo dalle critiche per la sempre maggiore distanza tra il messaggio evangelico e la morale delle sue istituzioni. Da tale distanza prenderanno le mosse i movimenti evangelici, che accuseranno di fatto la Chiesa ufficiale di condurre atteggiamenti contrari agli insegnamenti di Gesù. Ad esempio, ai farisei che rimproverano ai suoi discepoli affamati di cogliere del grano di sabato, Gesù risponde «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!»2. Tra i molti significati di questo racconto contenuto nei Vangeli, i movimenti evangelici scelsero di leggere anche l’idea, altre volte espressa da Gesù, che la scelta è fondante nel rapporto con la Legge, e che sopra di essa vige un’etica superiore, ovvero che esiste un valore più alto dell’ortodossia.

Crediamo che si debba avviare un percorso di riscoperta della storia democratica nel nostro paese, e questo breve articolo non ha che ambizioni di compendiarietà. Ci si concentrerà perciò sui maggiori tre movimenti evangelici fioriti in Italia tra la seconda metà del XII secolo e l’inizio del XIV: valdesi, francescani e apostolici. Ci interessa mettere in luce le ragioni comuni e le similitudini politico-organizzative di questi movimenti, che hanno avuto esiti storici del tutto differenti tra loro, e la cui eredità nella società italiana è decisamente diversificata.

Cenni storici

Nella seconda metà del XII secolo, un mercante di Lione di nome Valdo che si era arricchito grazie all’usura, paga due chierici per farsi tradurre in volgare alcuni estratti della Bibbia e dei testi dei Padri della Chiesa. Imparatili a memoria decide di seguire l’esempio del santo Alessio, un patrizio romano del IV secolo che rinunciò alle ricchezze e al matrimonio per dedicarsi a Dio. Valdo lascia quindi una somma alla moglie e alle figlie e con il resto dei suoi averi rifonde le vittime della sua attività di usuraio. Attorno a lui si raccoglie presto un gruppo di compagni e compagne che seguono il suo esempio e iniziano a predicare il Vangelo in povertà. La nuova confraternita dei Pauperes spiritu gode della protezione dell’arcivescovo di Lione, e nel 1179 Valdo va a Roma dove ottiene dal Papa l’approvazione orale. Alessandro III non gli concede però il permesso di predicare pubblicamente. Sulla via del ritorno Valdo non rispetta il comando papale e fonda alcune comunità nell’Italia settentrionale. Intorno alla questione della predicazione itinerante, e del ruolo paritario occupato dalle donne, si consuma la scomunica e la cacciata da Lione nel 1184. Nei primi anni del XIII secolo il movimento si spacca tra Ultramontani, guidati da Valdo, e Ytalici. Tra i nodi del contendere vi è che i fratelli e le sorelle del Nord Italia non si dedicano unicamente alla predicazione, ma cominciano a costituire comunità di laborantes in cui vivono in comune secondo la morale del Vangelo. Nonostante le feroci persecuzioni il movimento si ricompatta verso la fine del secolo in quelle che sono ancora oggi note come le ValliValdesi (Germanasca, Pellice, Chisone, tutte in provincia di Torino).

Nei primi anni ’80 del XII secolo, nasce ad Assisi Giovanni, figlio di Pietro di Bernabone, ricco mercante in stoffe. Il ragazzo spende la sua giovinezza a tentare di inserirsi nella società del suo tempo, partecipando all’attività del padre e divertendosi con la ricca gioventù assisana. Avviatosi alla carriera militare, diserta sul cammino per la IV crociata; in lui inizia a farsi strada una contraddizione spirituale che sempre più lo allontanerà dalla vita mondana. Negli anni seguenti sottrae al padre ingenti somme di denaro da donare ai poveri e per ricostruire una chiesa diroccata dedicata a San Damiano. Il padre, non riuscendo a sfuggire allo scandalo che gli procurano le azioni del figlio, lo cita in giudizio per salvarsi l’onore. Nel 1206, di fronte alla cittadinanza, Giovanni si spoglia nudo e restituisce ogni bene al padre, dichiarando che da quel momento il suo unico padre sarebbe stato Dio. Non c’è accordo tra gli storici sulle cause, ma da lì in poi Giovanni prende nome Francesco. Inizia a curare lebbrosi, a ricostruire chiesette e a vivere delle elemosine che gli fa il popolo. Nel 1208 inizia la sua predicazione e presto lo raggiungono alcuni dei suoi vecchi amici borghesi e aristocratici di Assisi che seguono la sua scelta di povertà. In quegli anni Francesco si reca da Papa Innocenzo III e ottiene l’approvazione orale per costituire l’Ordine dei frati minori. La nuova forma di vita attira anche diverse ragazze, in primis Chiara, figlia di un nobile di Assisi; a queste però non viene concesso di vivere predicando nel mondo, e l’ordine femminile diviene immediatamente di tipo conventuale e di clausura3.

Il movimento cresce presto fino a raggiungere migliaia di fedeli in tutta la penisola; nel 1221 Francesco scrive una regola per l’ordine, nel tentativo di mantenere le grandi masse di fratelli vincolate alle sue scelte iniziali. I compromessi a cui tale regola andrà incontro produrranno un graduale allontanamento dai propositi iniziali, che accelererà drasticamente alla morte del fondatore, avvenuta nel 1226. Nel 1260, Gherardo Segarello, un giovane di modeste condizioni, chiede di essere ammesso nel convento dei frati minori a Parma, ma viene respinto. Decide perciò di seguire alla lettera l’esempio di Francesco: si spoglia dei suoi beni sulla piazza principale di Parma e inizia a predicare e vivere il Vangelo. In breve tempo raccoglie attorno a sé un gruppo di fratres et sorores apostolicae vitae, noti come gli apostolici, che per rivendicare la loro diretta discendenza dagli insegnamenti di Francesco e marcare la distanza dai minori, iniziano a farsi chiamare frati minimi. Come nel caso di Valdo e di Francesco, all’inizio anche Segarello trova nel vescovo della sua città un altalenante protettore, ma nel 1285 il movimento è scomunicato dal Papa. Nell’anno 1300 Segarello viene arso sul rogo a Parma come eresiarca. Il movimento da lui fondato è però ormai vasto e radicato, e una nuova figura di leader non tarda a emergere. Un mese dopo il martirio del fondatore, un certo fratello Dolcino da Novara scrive una lettera agli apostolici che può essere considerata il manifesto politico-teologico del movimento. Sotto la sua guida, il movimento assume connotati inediti, e si concentra in alcune valli, tra il Piemonte e la Lombardia, dove gli apostolici costituiscono comunità di fratelli e sorelle simili a quelle propugnate dagli Ytalici solo un secolo prima. La centralità della donna nel movimento è già fondante la predicazione di Segarello, ma è in questa fase che una donna, Margherita da Trento, diventa guida politica al pari di Dolcino. La comunità cresce e moltissime tra le genti di quelle montagne entrano a farvi parte. L’esistenza stessa di questo esperimento politico mette in crisi il dominio feudale sul territorio, tanto che nel 1306 il vescovo diVercelli bandisce una crociata contro gli apostolici. Dopo circa un anno di resistenza armata e guerriglia in montagna, i ribelli sono battuti. Dolcino e Margherita vengono messi al supplizio pubblico e arsi sul rogo.

Morale evangelica e Morale borghese

Sia la scelta diValdo che quella di Francesco rappresentano una reazione esplicita all’inversione morale che prende il via nei comuni dell’Europa mediterranea del basso medioevo: è infatti allora che per la prima volta nella Storia l’accumulazione di ricchezze assume un ruolo positivo nella spartizione del potere politico. Fino ad allora, alle classi borghesi e mercantili era stato concesso di vivere ai margini della vita morale e politica, proprio a causa della loro smania di accrescere il proprio potere tramite l’accumulazione. Occorre soffermarsi su questo passaggio storico, perché ci permette di notare come la morale oggi imperante nella Modernità capitalista sia nota fin dall’alba della civiltà, ma come essa sia sempre stata limitata e osteggiata sia dalla Società che dallo Stato. Ciò che invece vivono le generazioni di Valdo e Francesco è il superamento delle vecchie morali feudale e comunitaria in favore di quella che possiamo chiamare morale borghese.

Il diffuso sentimento di ribellione di questi giovani trova allora il necessario impianto ideologico all’interno del regime di verità dominante nelle loro società: i Vangeli. In particolare saranno le parole che Gesù rivolge al ricco che lo interroga su cosa fare per avere la vita eterna, a dare a entrambi, figli della prosperante borghesia mercantile, la direzione morale da seguire:

(20) “Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre”. (21) Costui disse: “Tutte queste cose le ho osservate fin dalla giovinezza”. (22) Udito ciò, Gesù gli disse: “Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi!”. (23) Ma quello, udite queste parole, divenne assai triste perché era molto ricco (Lc 18).

I seguaci di Valdo e Francesco faranno quindi della povertà uno dei loro caposaldi morali, ma in questo contesto l’idea di “povertà” assume molteplici significati su cui è bene soffermarsi. Se per i primi giovani che seguono le loro orme si tratta di una scelta politica contro la morale borghese e l’opulenza ecclesiastica, per molti dei successivi seguaci sarà la naturale condizione di esistenza e la ragione per cui si riconosceranno nei movimenti evangelici.

I pauperes di Lione sono poveri davvero, e quindi analfabeti; predicatori e predicatrici imparano la nuova dottrina per via orale e così la insegnano. Questo produce un effetto profondo di commistione tra la morale popolare e l’insegnamento teologico dei Vangeli, per cui in poco tempo la predicazione evangelica dei seguaci di Valdo perde i connotati teologici in favore di quelli morali. Infatti, tratto distintivo del movimento è che chiunque può assumersi il diritto e l’onere di predicare: non c’è una regola, la scelta di far parte del movimento è una scelta che deve essere rinnovata ogni giorno ed è garantita solo dalla struttura morale del movimento stesso. Come già ricordato, questa sarà una delle ragioni per cui i poveri di Lione si attireranno le ire della Chiesa ufficiale, che capisce immediatamente di non avere più nessun controllo sul contenuto delle loro predicazioni.

Ma da un punto di vista ideologico, il concetto di “povertà” deve anche essere ricondotto al discorso di Gesù sul monte4. Questo si apre con le cosiddette Beatitudini, un elenco delle categorie di persone a cui il messaggio di Gesù intende rivolgersi. Di qui un’ulteriore accezione del valore della povertà assunta dai movimenti pauperistici, intesa come povertà di spirito e cioè come umiltà.

(3) Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. (4) Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. (5) Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. (6) Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. (7) Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. (8) Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. (9) Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. (10) Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5).

Questo manifesto, che in Matteo si estende dal capitolo 5 al capitolo 7, indica gli atteggiamenti morali e politici che nell’intenzione di Gesù deve assumere la nuova comunità umana; la cui morale attiva si condensa in Mt 6:12: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro».

Nel caso dei movimenti evangelici, la ricerca della povertà è totalmente estranea allo spirito penitenziale e mortificatore del corpo che contraddistingue sia i catari che il monachesimo dell’ortodossia cattolica. Non si tratta di umiliarsi agli occhi di Dio per aspirare alla santità, ma di abbassarsi all’altezza del più umile degli esseri umani. Non si cerca l’ascesi ma la fraternità, cioè si cerca di vivere nello spirito del partito dei poveri di Gesù. Un esempio valga sugli altri: quando un novizio chiedeva di essere ammesso in un monastero, secondo il Capitolo LVIII della Regola benedettina, la sua vocazione doveva essere messa alla prova attraverso privazioni di ogni sorta, per testarne la solidità. All’aspirante apostolico, o francescano delle origini, si richiede invece che regali i propri beni e che rinunci all’accumulazione, dopo di ciò egli viene accolto nella fraternità.

La regola immaginata da Francesco, e poi scritta in forma di compromesso dietro spinta ecclesiastica, chiarisce che il frate non deve vivere di elemosina, ma del frutto del suo lavoro che offre ai poveri. Fondamentale è il chiarimento che Francesco ritiene di dover fare in merito a quali tipi di lavori siano ammessi: in generale, il fratello deve continuare a prestare l’attività che svolgeva prima della scelta di fede, a meno che questa non fosse di tipo professionale o commerciale. C’è qui una consapevole distinzione tra lavoro utile e lavoro come strumento di dominio, ovvero tra valore d’uso e valore di scambio: il frate presta servizio alla comunità e non a Mammona.

Solo nel caso in cui il proprio lavoro non dia frutto sufficiente a sfamarlo, al frate minore è lecito domandare elemosina, che però deve essere unicamente in natura e nella quantità necessaria all’immediato consumo. Tanto è il rifiuto dell’accumulazione, che il frate non può possedere nulla che non gli serve in quell’esatto momento, secondo la morale indicata da Gesù agli apostoli:

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. (9) Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, (10) né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento (Mt 10).

Non è difficile scorgere, già in questi primi elementi, gli attributi fondanti la morale storica di quella che Öcalan chiama “società naturale”, ovvero quel «sistema di società umane nate con la separazione del genere umano dai primati e che sono esistite a lungo, fino alla nascita della società gerarchica»5.

Gerarchie

Un’altra caratteristica fondamentale nei tre movimenti che stiamo considerando è il rifiuto della gerarchia politica, che nello specifico contesto religioso implica il rifiuto del sacerdozio. La separazione tra chierici e laici è effettivamente assente nelle comunità cristiane delle origini, e anche nelle Scritture che ne sono a fondamento. Eppure una tale comune assunzione non si può spiegare semplicemente con il fatto che non si trovano cenni a gerarchie del culto all’interno dei testi sacri. Il rigore e la veemenza con cui il principio di uguaglianza spirituale – e cioè politica – venne difeso anche di fronte alle minacce di scomunica e di persecuzione richiede una qualche giustificazione in più. Questo sembra infatti un principio molto lontano da quella che siamo soliti identificare come la mentalità feudale medievale.

Attraverso un’analisi dialettica appare chiaro come questi movimenti non venissero da un’astratta utopia di emulare delle Scritture, ma fossero espressione cosciente di una volontà subalterna precedente la scelta dei loro fondatori. Serviva una costruzione ideologica all’altezza delle rivendicazioni, e questa fu trovata in ciò che la Società aveva a disposizione, cioè i Vangeli. Secondo una lettura di questo tipo, la negazione del valore del sacerdozio diventa la prassi concreta che permette di recuperare alla società quelle funzioni morali e spirituali che si ricordava esserle appartenute, e di cui solo negli ultimi secoli la Chiesa – cioè la funzione spirituale dello Stato – si era appropriata indebitamente.

Bisogna però tenere lontana quella forma di generalizzazione, oggi giorno così di moda nel pensiero liberale post-moderno, che confonde l’uguaglianza politica con l’assenza di distribuzione dei compiti all’interno di una comunità. Nel caso dei valdesi, ad esempio, esistono figure di uomini e donne che amministrano il culto, e che sono cariche ufficiali il cui ruolo di direzione spirituale è riconosciuto e sostenuto dalla comunità. Tra le cose che li distingue dai chierici cattolici è ad esempio l’assenza di dominio nei confronti della comunità; infatti qualunque valdese può predicare e dire la sua sulle Scritture, e contraddire il pensiero dei ministri, i quali però sono chiamati a una responsabilità di approfondimento costante e di studio.

Nel caso francescano, il Capitolo – l’organo decisionale più alto dell’ordine – è pensato all’inizio come assemblea plenaria egualitaria, in cui tutti i frati possano dire la loro sul futuro della comunità. Nel solco del Manifesto di Gesù6, la proposta di Francesco non riguarda la salvezza privata, ma è in effetti un progetto per tutti gli uomini; sulla generalizzabilità alle donne occorre discutere il caso in modo più circostanziato. Ciò che Francesco rifiuta non è il consorzio umano in quanto tale, ma il modello specifico di cooperazione sociale che è la città.

Sul ruolo delle donne e dei fanciulli

Nel suo atto di ribellione al potere paterno, Francesco rifiuta egli stesso il titolo di Padre che spesso gli viene dato dai suoi seguaci. Accetta invece il titolo di Madre, volendosi rappresentare come amorevole e premuroso nei confronti della sua comunità.

L’istituzione della famiglia feudale, così importante nell’Italia comunale del ‘200, viene messa a soqquadro dalla predicazione di Francesco, in un modo che sembra imitare timidamente l’organizzazione matricentrica della società naturale. Questo è il grande scandalo che porterà Francesco a giudizio e a cui lui risponderà con l’atto famoso dello spogliarsi di tutti i beni del padre, abiti compresi. Ma Francesco in ciò non rifiuta solo il padre suo, in quanto gretto mercante dimentico della morale di Gesù, egli intende esplicitamente sconfessare un’intera società di padri dominatori, a cui contrappone una nuova società di fratelli eguali tra loro. E i fratelli sono tali se sono figli di una sola madre, motivo per cui inizierà a diffondere l’uso per ogni frate di chiamare madre, la madre degli altri frati.

Per quanto riguarda il ruolo della donna tra i frati minori, bisogna probabilmente fermarsi qui, e in futuro approfondire la storia ambivalente di Chiara e delle altre donne recluse nei conventi delle clarisse. Nei movimenti definiti eretici – e questo contribuì certamente a segnare uno stacco tra Francesco e gli altri – la donna ha invece tutt’altra centralità e posizione. Per valdesi, catari e apostolici la donna è parte a pieno titolo se non centro della comunità evangelica. È una donna ad esempio che deve compiere il rito di rivestizione degli apostolici di Segarello, che rinascono dopo aver seguito pubblicamente l’esempio di Francesco. Sono donne molte dei ministri del culto valdese ed è donna l’altra grande personalità del movimento dei dolciniani: Margherita da Trento, che guida in battaglia gli apostolici ribelli contro i mercenari vescovili.

Per quanto ne sappiamo, Segarello è l’unico a fare un passo in più facendo predicare i fanciulli. In generale questi sono al centro della sua nuova comunità, tanto che egli si mette in fasce a succhiare il latte da donne sconosciute durante le sue predicazioni teatrali itineranti. L’idea, che tornerà cara ai movimenti anabattisti dell’Età moderna, è che il cristiano con la scelta apostolica rinasca a nuova vita. Per questo i fanciulli hanno il diritto alla predicazione, perché un tale affare è così importante da dover essere messo in mano a chi è privo di malizia: il regno di Dio è il tempo dei fanciulli.

Rapporti con il potere

Il rapporto di Francesco con il denaro, e quindi con la società borghese, è una storia in tre atti che testimonia una presa di coscienza radicale maturata nello scontro tra la morale della società naturale e quella del dominio. Al principio Francesco è figlio prediletto di un ricco mercante, che gode le gioie effimere della vita agiata, e che cerca un posto nella società dei Comuni. In un secondo momento egli cerca un compromesso tra la pressione morale che si fa strada in lui, e la società di cui fa parte, attraverso la redenzione del denaro che egli ruba al padre per donarlo ai poveri e per finanziare la ricostruzione di una cappella di campagna. Il rifiuto radicale avviene solo dopo che il padre lo cita in giudizio e così facendo lo mette di fronte all’inconciliabilità tra fratellanza e morale borghese.

(24) “Mostratemi un denaro: di chi porta l’immagine e l’iscrizione?”. Risposero: “Di Cesare”. (25) Ed egli disse: “Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio” (Lc 20).

Nella parabola di Francesco – che sarebbe puramente individuale se non avesse incontrato il favore di migliaia di persone nell’arco di pochi anni – è possibile riconoscere un meccanismo di autodifesa ideologica della Società, la quale non intende attaccare il Potere, ma riconquistarsi un senso proprio, e che solo quando costretta assume una postura di resistenza contrappositiva.

Questo principio di autodifesa ideologica si nota soprattutto nell’atteggiamento che sia i valdesi che Francesco e Segarello tengono nei confronti della Chiesa. La critica che tutti quanti muovono alle istituzioni ecclesiastiche è radicale e lampante, a volte esplicita, a volte – come nel caso di Francesco – implicita; eppure la loro azione mai è volta alla conquista del potere. La rigidità di questi movimenti è sui principii, ma ognuno di essi cerca a più riprese di avviare un dialogo con la Chiesa per trovare un compromesso di coesistenza che rispetti tali principii. Solo Dolcino propugna esplicitamente una ribellione armata e predice l’annientamento dei nemici degli apostolici, ma secondo Burat, anche questa postura va considerata all’interno di un quadro di continue persecuzioni subite e, quindi, in termini di pura autodifesa.

È altrettanto necessario notare come eminenti figure ecclesiastiche siano state poste in forte contraddizione da ognuna di queste figure; laddove la scomunica arrivò, fu solo dopo lunghe ed estenuanti battaglie in seno all’istituzione. Il rapporto tra movimenti evangelici e Chiesa ufficiale non può essere descritto all’interno di una dicotomia manichea rivoluzione/conservazione, ma si può comprendere solo attraverso la lente della dialettica. Lo stesso compromesso storico che coinvolse il movimento dei frati minori non è completamente spiegabile se si usa il metro della real politik ecclesiastica. Certo Papa Innocenzo III, approvando l’Ordo fratrum minorum, conseguì una vittoria politica su tutti gli altri movimenti evangelici, arrivando a sussumere negli anni il movimento all’interno delle logiche secolari della Chiesa. Eppure, se si fa della Storia un’analisi ecologica e ad esempio si considerano quelle figure di vescovi e cardinali che si spesero a più riprese per proteggere ognuno dei protagonisti delle vicende evangeliche, allora si scopre in quel periodo di stravolgimenti comunitaristi la possibilità di un altro corso storico, diverso da quello che poi si realizzò. L’elezione a papa dell’eremita Celestino V, pur nelle sue contraddizioni, mostra un esempio plastico di tale possibilità.

Conclusioni

Piccoli movimenti ereticali sono dispersi nell’arco di tutta la Storia europea e italiana, gli indirizzi aperti da Carlo Ginzburg e Ernesto de Martino, ad esempio, mettono in luce esattamente l’assenza di soluzione di continuità tra tradizioni pagane e morale cristiana nella nostra cultura. Qui sono stati brevemente tratteggiati soltanto i motivi storici alla base di quei grossi movimenti popolari che presero le mosse dalla rilettura dei Vangeli in Italia tra XII e XIV secolo.

Un’interpretazione storiografica all’interno del paradigma della Modernità democratica – ovvero fondata su un approccio ecologico e dialettico – è in se stessa una critica sia alle riletture positiviste del passato, che rendono i fatti di ieri spiegabili solo in funzione delle credenze di oggi, sia alle letture relativiste che considerano incolmabili le differenze storiche e geografiche, assumendo di principio la separazione tra gli eventi del passato e le motivazioni del presente.

  1. Con questa parola intendiamo qui riferirci a quei movimenti di ispirazione religiosa che assunsero come programma politico-morale gli insegnamenti di Gesù contenuti nei Vangeli del Nuovo Testamento. Oggi il termine è usato in generale dalle chiese riformate, e ovviamente non può essere impiegato formalmente anche per l’esperienza francescana delle cui origini si parlerà nel seguito. ↩︎
  2. Mc 2:27. Nella tradizione ebraica, il sabato è il giorno dedicato al riposo, ed è dovere di ogni credente astenersi da ogni tipo di lavoro. ↩︎
  3. In Oltre lo stato, il potere e la violenza, Abdullah Öcalan affronta il tema dell’ambivalenza tra prigione e autodifesa del ruolo svolto dai conventi femminili. ↩︎
  4. A ragione Abdullah Öcalan definisce “primo partito dei poveri” il movimento costituitosi attorno alla figura del Nazareno. In questo senso, il “discorso della montagna” può essere definito come il suo manifesto politico. ↩︎
  5. A. Öcalan, Oltre lo stato, il potere e la violenza, p. 24. ↩︎
  6. Certe interpretazioni del discorso sul monte sottolineano come Gesù non si riferisca mai a un uditore individuale, non prometta nulla ai singoli, cioè non offra risposte perseguibili nel privato. Anche il giovane ricco, deve sì fare la scelta individuale di povertà, ma poi deve seguire Gesù, per potersi salvare, ovvero deve unirsi alla comunità degli Apostoli. ↩︎