La scorsa settimana sono stati diffusi sui social media alcuni estratti di una lettera aperta di Pakhshan Azizi, una prigioniera politica curda condannata a morte, intitolata “La negazione della verità e la sua alternativa”. Il testo che segue è una traduzione della versione integrale della lettera di Pakhshan Azizi pubblicata da Bidarzani il 27 luglio 2024. Nella lettera, Azizi racconta il modo violento in cui lei e la sua famiglia sono state arrestate dalle forze di sicurezza, le torture subite durante la detenzione e la sua posizione e attività politica.
Negazione e disvelamento della verità
Ha premuto le mani contro le pareti del suo grembo per non cadere, resistendo ai farmaci abortivi. Fin dall’infanzia è stata guidata dalla voce di una madre sofferente che le ha insegnato la lezione della resistenza e della vita, imparando a sopravvivere.
«بۆیەت دەبەستم تا خووی پێ بگری، نەک تا من ماوم لە بەندا بمری».
“Ti lego perché tu ti abitui, cosicché, finché vivrò, tu non perisca in cattività”.
Tra la vita e il tempo è in atto una guerra!
Premette le mani contro la parete della cella per evitare di cadere. Il tempo si era dissolto in un crepuscolo senza fine, dove il giorno e la notte erano indistinguibili. Vagava in questo crepuscolo perpetuo, cercando un modo per esistere al di là della mera sopravvivenza, per afferrare l’essenza del vero essere. Sottoposta alle intimidazioni del governo e con venti pistole puntate addosso, venne marchiata come terrorista, un’etichetta ironica che coglieva l’essenza stessa della paura generale che era costretta a subire.
Un ragazzo di diciassette anni, riunitosi alla zia dopo anni di lontananza, insieme al padre, alla sorella e al cognato, giaceva a terra. Avevano le mani legate dietro la schiena e le pistole erano minacciosamente puntate alle loro teste. Questa cosiddetta “sacra famiglia” – la pietra angolare su cui è stata costruita la Repubblica islamica – veniva incatenata e costretta a terra. Un crudele sorriso di trionfo, simbolo del potere della “famiglia di Stato”, suggellava il successo dell’operazione.
Si muovono sempre più verso l’alto…
Davanti ai suoi occhi, scene di massacro e distruzione di migliaia di famiglie curdo-siriane (Rojavan) si susseguono come un tragico film.
Nella sua estrema debolezza fisica, si aggrappa alle pareti della cella 33 di Evin, la stessa in cui, nel 2009, era stata detenuta con le stesse accuse di “essere curda” e “essere donna” e di lottare per “xwebûn” (essere se stesse). Dalla cella 4 sente i colpi di tosse del padre, che ha subito tre ictus, è stato operato di recente a causa di un cancro e porta ancora sul corpo le cicatrici dei proiettili degli anni Ottanta. E da altre celle sente le grida di una sorella che implora ripetutamente di vedere il suo unico figlio, terrorizzato.
Il primo giorno di interrogatorio, le hanno proposto di chiudere la faccenda discretamente, senza andare in tribunale!
Durante l’interrogatorio è stata impiccata più volte, seppellita a dieci metri di profondità, e tirata fuori di nuovo, vista la sua disillusione e la sua rottura!
La memoria storica è piena di questi eventi: una comprensione profonda nata non dall’estraneità, ma da una vita trascorsa in Kurdistan fin dall’infanzia. Fin dall’infanzia è stata etichettata come separatista e membro del secondo sesso, mai riconosciuta come cittadina a tutti gli effetti. Si è trovata di fronte a una scelta: o rifiutare queste etichette allineandosi con “l’altro” – un confine che l’aveva già definita – o lottare coraggiosamente al servizio del suo popolo. Sì, per l’autorità centrale i curdi sono trascurabili, non contano nulla, ma per le loro sentenze portano il carico più pesante e più grande.
La mentalità dello Stato-nazione non ha esitato a ricorrere ai metodi più brutali per la propria sopravvivenza, perpetuando così un ciclo di autorità e violenza.
L’orientalismo sfrenato si manifesta sotto forma di una concezione centralista e autoritaria, che traccia linee nette tra il sé e l’altro. Senza esitazione, utilizza la politica e la violenza per emarginare ed essenzializzare le strutture.
Impegnarsi con la realtà sociale in modo materialsta e oggettivo – con un approccio non realistico – nega quelle verità storicamente celate dalle politiche di cancellazione. Un tale approccio si allinea alla scienza positivista, separandosi dal campo più complesso della sociologia. Implica inequivocabilmente l’adozione e l’attuazione di strategie caratteristiche della modernità capitalista, piuttosto che dell’anticapitalismo.
Utilizzando la strategia della modernità capitalista all’interno del Medio Oriente, forze estranee hanno frammentato il corpo territoriale e l’essenziale integrità culturale del Kurdistan, marchiando così i curdi con lo stigma del separatismo fin dalla loro nascita. Il Kurdistan rappresenta una società dinamica che storicamente ha resistito alla sottomissione da parte di qualsiasi Stato. Una distinzione fondamentale nella società curda contemporanea sta nel suo passaggio qualitativo dal nazionalismo alla fondazione di una comunità socialista.
E non con la negazione o l’ostilità, ma nel rispetto di tutte le tradizioni…
Il problema del separatismo richiede l’istituzione di un sistema di norme di legge, che spesso stigmatizza ingiustamente le persone curde come separatiste.
Ancora una volta, nel corso dell’interrogatorio, le vengono rinfacciate la sua disillusione e la sua rottura.
Lo scenario si svolge come un dramma tragicomico che coinvolge attori pragmatici e positivisti che si nutrono quotidianamente della modernità capitalista attraverso l’esecuzione delle loro politiche. La questione centrale è l’identità piuttosto che la sicurezza. Nelle situazioni in cui si enfatizza la sicurezza nazionale, le preoccupazioni legate all’identità e alla sicurezza della società sono sistematicamente minate e trascurate. Per di più, gli individui responsabili di affrontare queste questioni si trovano spesso di fronte a dilemmi personali profondamente radicati, che li portano a personalizzare i problemi più ampi, aggravando così una crisi al suo apice.
Un essere umano è definito dal suo genere (la prima dimensione della percezione), dalla sua lingua, cultura, arte, organizzazione, libertà, stile di vita e ideologia complessiva. Quando una di queste dimensioni della vita viene soppressa o recisa, non resta più posto per una vita che sia umana. Se si sopprime la volontà di una donna, in quanto essere umano con una dignità, non rimane più spazio per una vita libera. Questo segna un declino degli standard umani-etici-politici, dove la vita, priva della propria identità, si mette sulla difensiva ed entra in una fase di ribellione.
Insulti, umiliazioni e minacce riempiono la stanza, esacerbati dalle peggiori condizioni psicologiche e fisiche che derivano da uno sciopero della fame prolungato, in cui confluiscono le pulsioni dell’identità e della storia. Mesi di silenzio si trasformano in un grido di sfida: Non sono una terrorista. I pugni stretti dell’inquisitore affermano ogni volta la sua autorità di uomo di Stato. Il suo ruggito diventa un urlo: “Perché neghi la verità?!”.
Voi avete negato la più profonda verità sociale: l’essenza della donna, la sua identità, il suo essere curda, la sua vita e la sua libertà. Di quale verità e di quale negazione state parlando?!
Occultamento, cancellazione, assimilazione: sono questi gli imperativi sistematici che seminano i più profondi traumi sociali e trasformano la ricerca della verità in una sfida contro lo Stato e in un conflitto. Queste stesse politiche alimentano un inesorabile spirale di interrogatori, che si arrotola in un circolo vizioso e infinito.
Sentire il debito verso il proprio popolo e dedicarsi al servizio etico per la società al di fuori dei confini dello Stato-nazione è perseguito dalla legge e soggetto alla definizione di scenari di manipolazione, con la minaccia ricorrente di possibili sviluppi alternativi per minare la fiducia sociale. Si dimentica che la democratizzazione di una società avviene oltre i confini dello Stato-nazione e che la costruzione di una società etico-politica implica che si affinino e si perfezionino attivamente le politiche fallimentari dello Stato.
L’autoritarismo, il sessismo e l’estremismo religioso sono le cause principali delle crisi sociali, politiche, economiche e culturali. Queste non possono quindi essere la soluzione. È il popolo stesso che possiede la coscienza e la volontà sociale e politica necessarie per superare queste crisi. Nascondere la verità sulle donne, sui curdi e su tutte le comunità emarginate, così come soccombere alle distorsioni storiche, questa è la massima negazione della verità.
In questo modo si nega la verità storica, non si trovano soluzioni. Già a partire dalla definizione del problema, ci si trova di fronte a delle criticità, e nel presentare una soluzione, si è impotenti.
Non sono solo i curdi a dover fronteggiare situazioni di questo tipo; si tratta di una realtà più generale e permanente. Il nocciolo del problema viene occultato, rendendo di fatto priva di significato qualsiasi indagine o esame. L’analisi delle realtà sociali richiede approcci più scientifici, filosofici, realistici e sociologici. È necessario adottare strategie che riflettano più accuratamente la verità. Affrontare i problemi in modo superficiale, anziché risolverli in modo autentico, non potrà mai fornire una vera soluzione. Distruggere il potenziale delle donne e delle comunità emarginate per paura e per intimidazione è inaccettabile. La democrazia e la politica non dovrebbero mai temere di misurarsi con realtà sociali che hanno una forte memoria storica di genocidio, negazione e annientamento.
La vera politica si manifesta solo quando coloro che sono tradizionalmente emarginati diventano parte attiva. Essa si concretizza nell’emancipazione dei diseredati, di coloro che sono ritenuti inadatti all’impegno politico, quando iniziano ad occuparsi dei problemi della società – questo non è il dominio né della paura né della minaccia. Ma è una dimostrazione di fermezza e di responsabilità. La retorica del sovrano dovrebbe ispirare la ricerca della verità e la formazione della volontà. Imporre la direzione del viaggio e l’identità del viaggiatore in base al potere centralizzato non è democrazia, ma rappresenta una violazione fondamentale dei principi democratici. Non è possibile servire la giustizia applicando leggi che sono esse stesse all’origine della crisi. La vera giustizia consiste nel riconoscere il merito in base alla legittima identità. È legittimo affermare che giustizia è fatta e che la verità è stata chiarita se le stesse autorità che causano morte, povertà, sfruttamento, arroganza e ipocrisia sono anche quelle che infliggono le punizioni? Che significato può avere una simile affermazione quando la verità stessa viene sistematicamente occultata? La differenza tra “centro” (مركز) e “periferia” (مرز) consiste in un’unica lettera (ك). Questa lettera esprime la negazione della verità, che è radicata nel centro stesso.
È stata in isolamento per mesi, privata di libri, contatti e visite. Soffrendo di frequenti emorragie e sopportando continui scioperi della fame, la sua condizione di salute ha raggiunto un livello critico. È sottoposta a interrogatori incessanti, costretta a confessare cose che non ha fatto. Ma non c’è nient’altro che si possa fare invece di consumare le forze di una persona per estorcerle informazioni? Ripete a voce alta a se stessa che è una piccola goccia in un vasto oceano il cui fluire è inevitabile.
Si massaggia le gambe per riuscire a stare in piedi. Si alza e poi cade. In questi cinque mesi, si è avventurata più volte sull’orlo della non-esistenza. Non è una cosa inaspettata: abbiamo intrapreso questo viaggio affrontando alti e bassi. Questo è il senso della nostra vita: il dolore che non ci uccide ci rende più forti. Fin dall’infanzia, e ancor più adesso, abbiamo sempre vissuto sul filo del rasoio, le nostre vite sono state plasmate da storie per bambini, poesie e canzoni, hanno attraversato il tradimento e l’eroismo, l’amore e l’odio, la morte e la vita in modi straordinari. Abbiamo provato e vissuto con tutto il nostro essere l’essenza stessa della vita al confine tra esistenza e non esistenza.
Siamo nate condannate. Tutta la nostra vita è una continua ricerca per dimostrare il nostro valore. Potremmo anche non essere ancora noi stesse, ma per questo dobbiamo sforzarci di diventarlo.
cheL’odore dei roghi e del sangue ha avvolto l’intero Medio Oriente. Ogni momento le riporta alla mente un altro ricordo angosciante. Il primo cadavere che ha visto è stato all’età di 18 anni, quando la vita di Khadijah è stata gettata alle fiamme dal marito e dal cognato, bruciata dalla testa ai piedi e con le mani legate. Storie vere a non finire. Nel corso del suo lavoro e all’università si è imbattuta in decine di altri traumi sociali, che testimoniano lo stato disperato in cui versa la società. Ricorda le decine di donne e bambini che, durante gli attacchi dell’ISIS, hanno visto i loro mariti, fratelli e padri decapitati davanti ai loro occhi. Ricorda le ragazze catturate, ripetutamente violentate e ricorda quelle che si sono date fuoco.
Le madri che tenevano in braccio i loro bambini mentre il loro latte si esauriva, e i bambini scalzi, a centinaia, che giacevano sulle rocce per la lapidazione, prosciugati. Ricorda decine di donne combattenti i cui corpi sono stati bruciati e smembrati da un lato dagli attacchi aerei della Turchia e dall’altro dagli attacchi dell’ISIS. Combattenti che si sono immolate per le Khadijah, i bambini e le madri in lutto.
Si sveglia di colpo, non riesce ad alzarsi e inizia a vomitare: espelle il trauma della storia dal suo corpo.
In the Middle East, the crisis has transcended tragic dimensions, profoundly destabilizing the entire social fabric. The region has been plunged into turmoil by the implementation of modern, capitalist strategies, orientalist perspectives, and flawed policies that are aligned with global strategic interests. These factors have collectively resulted in extensive devastation and widespread bloodshed.
Forced to sit down, the threats and humiliations resume. Her hands bore deep scars from the war. “Why did you go to Syria for ten years? Why didn’t you go to Europe?”
At the heart of the question, the pull and attraction of Europe and the West can be deeply felt. It was as if they were speaking of their dreams or pushing you toward what they opposed! Where we are, we do not belong, and when we leave, we must find our place!
After the disappointment and failure of the 2009 case, which you claim as a victory, she served humanity beyond the artificial borders, and you remained the same interrogator from 2009 who couldn’t even become a soldier. Due to the lack of a healthy socio-political atmosphere, she distanced herself from her country. Life had lost its meaning. She moved to a place that also belonged to her (as you had said, Syrian Kurdistan is ours, as is Turkish and Iraqi Kurdistan). So, she didn’t go anywhere outside of what was rightfully hers. Of course, if it’s yours, not hers?! Another place in the Middle East where a revolution is taking place. Dreams cannot be killed. An alternative and democratic system reached its peak with the century’s resistance of Kobani (which, of course, was not a one-sided struggle but an ideological one) and became a turning point for the entire region and the world. The beginning of a new chapter of democratization.
Malgrado il dolore e gli stenti, lavorare nei campi profughi ha rappresentato per lei il più alto contributo morale ed etico verso una comunità che così a lungo ha sofferto per l’oppressione. Mentre svolgeva questo lavoro per l’umanità, un lavoro che diventa rivoluzionario quando attraversa una frontiera, tu eri lì con lei?
La voce risuona di colpo: lì sono tutti membri del PKK?!
Questo significa che ci sono milioni di sostenitori del PKK. Ma cosa definisce un gruppo? È l’adesione alla filosofia di Apo, il leader che, da sociologo, ha fornito analisi fondamentali sul Medio Oriente e sul Kurdistan. Nonostante sia in isolamento a Imrali da 25 anni dalla cospirazione internazionale del 1999, ha scelto di adottare metodi di cooperazione al di fuori del sistema dello Stato-nazione, giudicando questo un onore. La vostra definizione del problema è fondamentalmente sbagliata.
L’idea di iniziare una rivoluzione con una mentalità trasformativa, seguita da cambiamenti strutturali, è uno dei principi base delle rivoluzioni moderne.
Nel corso di una rivoluzione, naturalmente, si forma e si modella il carattere delle persone. Il tradimento e l’eroismo si manifestano più chiaramente quando vengono messi alla prova nel contesto delle responsabilità sociali e politiche. Quando ti impegni a fondo nei problemi sociali e osservi da vicino l’ambiente in cui vivi e l’urgente necessità di organizzare e attivare la popolazione, capisci l’importanza di approcci sistematici e della ricostruzione di una società morale e politica anche in mezzo ai conflitti. L’Iran stesso ha combattuto contro l’ISIS in questo stesso contesto. Grazie a questa esperienza, puoi imparare soluzioni pratiche e di grande efficacia. Finché non si affermerà la modernità democratica, sarà impossibile sfuggire all’interferenza e all’intervento della modernità capitalista nella regione. Il Medio Oriente deve rivendicare il suo ruolo centrale nel processo sociale.
Nella storia moderna di un Medio Oriente democratico, le forze dello Stato-nazione e i meccanismi della governance democratica operano uniti in un rapporto dialettico. La comprensione di questa dinamica richiede il riconoscimento delle differenze locali, ma questo non significa separatismo! In Siria, ad esempio, le forze popolari democratiche e rivoluzionarie avevano la possibilità di rovesciare il governo, ma hanno scelto di creare un proprio sistema, riducendo così l’autorità centrale di Assad. Il sistema rivoluzionario procede per la sua strada. La democratizzazione della società implica la democratizzazione della famiglia per vincere i pregiudizi di genere, la democratizzazione della religione per superare il dogmatismo religioso (non l’ostilità religiosa) e la democratizzazione di tutte le istituzioni esistenti per combattere l’autoritarismo. In questo modo si realizza un quadro teorico comune che previene eventuali ricadute nella dittatura e la cancellazione delle tradizioni autentiche dei popoli della regione, che costituiscono una parte significativa della loro identità e della loro esistenza.
Ogni sua attività e sforzo è stato finalizzato al servizio e all’adempimento del suo dovere storico che lei sente nei confronti delle sue esperienze e delle oppressioni storiche. È fermamente convinta che il modo giusto per realizzare una società democratica sia un approccio democratico alla costruzione di una società etico-politica in cui le persone discutano dei problemi sociali, se ne preoccupino e trovino soluzioni. Questa è l’essenza della democrazia.
L’autogoverno democratico, guidato dal paradigma di una nazione democratica (comprensiva di tutte le etnie all’interno dei suoi confini), vuole risolvere la profonda crisi del Medio Oriente. Questo approccio mette al centro l’organizzazione della popolazione attraverso i principi della sociologia della libertà e l’applicazione della Jineolojî nelle sue politiche.
Discipline che prevedono un’approfondita analisi storica, sociale e politica offrono soluzioni che mettono le persone in grado di reagire e affrontare da sole i problemi e le crisi. Fondano comitati popolari per la pace, l’economia, l’istruzione, i servizi, la salute, la cultura e le arti, la religione e il credo, i giovani e le donne. Questi comitati risolvono centinaia di questioni ogni giorno, anche nelle condizioni di guerra più critiche. Uomini e donne che lavorano insieme in libera convivenza e sotto una guida condivisa, ricostruendo una società distrutta e travolta dalla crisi, riempiendo di nuovo significato una vita che è stata spogliata della sua essenza. Sono fermamente convinte di essere sulla strada della libertà. Nonostante tutte le difficoltà e le sofferenze della rivoluzione ideologica, vivono la libertà istante per istante. In questa visione non si fa distinzione tra Siria, Iran, Iraq, Turchia, Afghanistan e altri Paesi della regione, o Gaza, che deve affrontare il genocidio e il massacro di migliaia di persone (da ovest a est). Questa è la vera essenza della libertà.
E coloro che hanno intrapreso il cammino della verità e della libertà hanno ridato significato alla vita e alla morte. Non è la morte che temiamo, ma una vita priva di onore e condannata alla schiavitù. Una vita veramente libera inizia quando le donne – le prime ad essere colonizzate – si impegnano con determinazione a difendere la propria dignità e il proprio onore, abbracciando la morte per vivere libere.
Né io né Sharifeh Mohammadi, né tutte le altre donne nel braccio della morte, siamo le prime o le ultime a venire condannate solo per aver cercato una vita libera e onorevole. Tuttavia, senza sacrifici, la libertà non può essere realizzata. Il costo della libertà è grande. Il nostro crimine è di aver unito Jin (Donna) e Jiyan (Vita) ad Azadi (Libertà).
Io sono lei. Lei è me. Ma io sono solo una goccia nell’oceano. Voi siete l’oceano. Il nostro fiume è inevitabile. Siamo incontenibili.
Pakhshan Azizi Luglio 2024, prigione di Evin